YOUTH – Paolo Sorrentino
Nel corso degli anni Paolo Sorrentino si è ritagliato un posto di tutto rispetto sia nel panorama cinematografico nazionale che in quello internazionale. La sua marcata componente autoriale si riscontra fin dalla primissima opera L’uomo in più (2001), accolto tiepidamente dalla massa che poi lo ha riscoperto grazie al successo de Le conseguenze dell’amore (2004), vera e propria consacrazione al grande pubblico.
Il suo stile narrativo è sempre stato ricco di imponenti movimenti di macchina, cura maniacale per le coreografie, musica posta come elemento dominante, tanto da poterla considerare vera e propria protagonista alla stregua degli attori e, infine, la sublime fotografia curata dal maestro Luca Bigazzi. Nei suoi primi lavori vi era un’incursione nel cinema di genere il quale costituiva una sorta di vena nera che fungeva da raccordo per le vite dei protagonisti ma, nel corso degli anni, questa sottile linea è andata sparendo quasi del tutto, diventando il mare torbido della noia; il disincanto, il nichilismo tipico di una certa borghesia, ancora imperante nel panorama nazionale italiano.
Queste persone, questi protagonisti, negli ultimi film di Sorrentino (da La grande bellezza fino a Youth: La giovinezza) sentono che in qualche modo non hanno lasciato una traccia indelebile nella storia, vedendo svanire come luce in un cunicolo un desiderio anelato sin da giovani.
Non parliamo di elementi come il successo personale o la notorietà, perché se ne La grande bellezza, premio oscar (2014) come migliore film straniero, il protagonista era il famoso critico Gep Gambardella (Toni Servillo) in Youth: La giovinezza egli cede il testimone a Fred Ballinger (il premio oscar Michael Caine), acclamato direttore d’orchestra ormai fermamente convinto del suo ritiro dalle scene. Gep e Fred, due nomi in qualche modo assonanti che fanno parte della società che conta e che, in qualche modo, hanno realizzato un traguardo: il raggiungimento dell’apice della propria carriera.
Fred ci porta all’interno di un costoso luogo di villeggiatura collocato nella Svizzera alpina, dove passano il periodo estivo ricchi nobili, celebrità, attori, registi, calciatori e tutta una categoria di persone appartenenti all’alta società, dediti alla cura del proprio corpo, al relax dei sensi e al torpore benigno offerto da questa sorta di spa per persone dall’alto tenore di vita.
Il binomio che salta agli occhi fin dalle primissime inquadrature è quello di Michael Caine e Harvey Keitel. Quest’ultimo è un regista impegnato nella sua opera definitiva, “Il testamento da lasciare alla storia” come lo chiama lui. In realtà rappresentano due versioni (apparentemente) diametralmente opposte della vita: Caine è colui che ha rinunciato alle emozioni perché troppo nocive ma non può fare a meno di farci i conti ogni giorno che passa, Keitel è colui che l’emozioni le vive, le assapora, anche se è cosciente del potere distruttivo delle stesse.
Non volendo svelare nulla dello sviluppo della trama, non si anticipa nulla affermando come anche in questo film Paolo Sorrentino utilizza i suoi protagonisti non come attori principali di una storia, bensì come traghettatori che fanno da guida agli spettatori attraverso mondi a tratti grotteschi e meravigliosi … e la forte influenza felliniana si lascia respirare nell’aria (8 e 1/2 in particolar modo). Sicuramente Youth può candidarsi a manifesto atteso dal pubblico, un lavoro di costruzione, decostituzione e ricostruzione se vogliamo auspicabile e, per questo, prevedibile. Sicuramente dividerà il pubblico followers e detrattori. Difficile la via di mezzo.
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