THE BIG SHAVE – Martin Scorsese
Prima di abbarbicarmi nella recensione di questo corto, vi rendo partecipi della problematica che mi sono posta: considerare il corto come un’opera di un Maestro che tutti adoriamo (e quindi procedere con umiltà e venerazione nei confronti dell’artista che è diventato) o visionare il corto come l’opera di un ragazzo di 25 anni alle prime esperienze cinematografiche? Visto che la fanatica venerazione non mi appartiene, ho deciso di collocarmi nel 1967, al tempo in cui è stato girato, considerando Martin Scorsese un promettente regista che comincia a farsi strada e, con questo corto, a stupire.
THE BIG SHAVE è famosissimo, malgrado sia di difficile reperibilità fuori dalla rete. In un bagno immacolato in cui tutto è in perfetto ordine ed estremamente pulito, un uomo si fa la barba, accompagnato da una colonna sonora leggera, da “domenica mattina”. Si rade una prima volta, non soddisfatto lo fa ancora e ancora, fino a dissanguarsi. Il giovane Scorsese ha reso un gesto quotidiano, semplice, che milioni e milioni di uomini fanno, drammaticamente inquietante. Un gesto banale di un uomo puntiglioso, che raggiunge la sublime compiutezza ledendosi atrocemente e irreversibilmente, spinto da una sfrenata mania autodistruttiva.
Potrei fermarmi qui, senza indugiare nella ricerca di ulteriori elementi metaforici o allusioni, se non fosse che Scorsese ha voluto chiudere il corto con la sigla Viet 67. Il corto, infatti, è conosciuto anche con questo titolo. Nel ’67 imperversa la guerra del Vietnam, gli Americani ne sono coinvolti già da qualche tempo e, attraverso la sigla di chiusura, Scorsese lancia un monito contro quella atrocità così disastrosa.
THE BIG SHAVE affronta una tematica difficile per l’epoca e senz’altro lambisce gli animi già così alterati dello spettatore, tanto che basta un accenno di riferimento alla guerra e il protagonista diventa espressione di un malessere comune a tanti suoi concittadini: un gesto banale come la rasatura diventa metafora di un’ossessione collettiva che porterà a conseguenze devastanti. Malgrado il tema, però, Scorsese riveste la pellicola di ironia con leggerezza e semplicità. Il sangue è copioso come nei migliori splatter e, fin dai primi tagli, lo spettatore rimane affascinato dall’impossibilità di dare una spiegazione a quelle gesta esasperate.
Girato in 16mm, la fotografia ha le sue pecche (tipiche in un lavoro di un regista alle prime armi) e purtroppo la pellicola presenta alcuni lievi deterioramenti dovuti al tempo, ma in questo video qualsiasi vizio tecnico passa in secondo piano di fronte all’irrazionalità della scena. Premiato al Prix de l’Age d’Or al festival del cortometraggio di Knokke, il corto entra (insieme a Scorsese) a far parte della New Hollywood, la corrente cinematografica che ha iniziato a farsi largo proprio intorno agli anni ’60-’70 e che ha rivoluzionato il modo di fare cinema, supportata da registi come Francis Ford Coppola, Steven Spielberg, Roman Polansky e Sidney Pollack.
Questo surreale, sarcastico corto è senz’altro un pugno allo stomaco per gli americani di quell’epoca come di oggi.
VOTO: 7/10
Regia: Martin Scorsese
Interpreti: Peter Bernuth
USA, 1967