STEFANO SIMONE – Intervista
Parlando di cinema indipendente non possiamo sorvolare sul suo nome. Lo troviamo inizialmente tra le pagine di Through The Black Hole con il corto Cappuccetto Rosso , con il quale subito si è fatto notare. Ha confermato via via il suo talento e il suo stile con i successivi lavori: Una vita nel mistero (2010), Unfacebook (2011), Weekend tra amici (2013), per poi giungere al più raffinato Gli Scacchi della Vita, lungometraggio tratto dall’omonimo racconto di Gordiano Lupi.
Ovviamente sto parlando di Stefano Simone, giovane regista capace di saltare da genere a genere, mantenendo sempre il suo preciso ed elegante stile. Stefano per i suoi film trae ispirazione dagli eventi quotidiani, dalle persone che lo circondano, senza mai fossilizzarsi su un preciso cliché. Al momento impegnato su più fronti, vedremo presto il suo nuovo lavoro.
Indipendente nell’ideologia e nella pratica, Simone si muove dietro la cam sperimentando, senza nessun sostanzioso budget, seguendo nuovi stimoli capace di entusiasmarlo, e si racconta così, con semplicità e freschezza, presentandoci la sua ultima fatica: Peppe Zullo – L’arte della cucina contadina.
Stefano Simone chi è da dove viene. Parlaci della tua formazione.
Un ragazzo semplice di Manfredonia che ha sempre avuto diverse passioni, tra cui calcio (sono tifosissimo del Milan), treni e cinema. Ho iniziato a scrivere sceneggiatura e girare i primi cortometraggi amatorialissimi a 13 anni e, dopo aver frequentato il liceo socio psico pedagogigo al “Roncalli” di Manfredonia, mi sono trasferito a Torino dove ho conseguito all’istituto “Fellini” il diploma di “Operatore della Comunicazione Visiva”. Nel capoluogo piemontese, città meravigliosa con cui ho un legame particolare e che ritengo importantissima per la mia formazione, ho vissuto in tutto tre anni e lì ho iniziato a girare i primi cortometraggi più o meno professionali, dove ho messo in pratica tutte le tecniche acquisite nel corso degli anni. Dopo aver girato il mediometraggio Cappuccetto Rosso - che tra i lavori “giovanili” è quello che mi ha fatto conoscere maggiormente-, sono tornato in terra natia dove ho girato il mio primo lungometraggio Una vita nel mistero e tutti i film a seguire, tranne il corto Sophia realizzato nel Canton Ticino per la scuola media “Acquarossa”.
Ti sei approcciato alla macchina da presa veramente giovane. Con quali mezzi, come è nata questa passione?
Come dicevo prima, a soli 13 anni. Ho girato i primi corti con una camera grundig vhs regalatami da mia nonna in occasione della prima comunione. I “film” si ispiravano molto ai registi che in quel momento conoscevo maggiormente (Carpenter e Argento su tutti), li montavo direttamente in macchina e come attori utilizzavo i miei amici che si prestavano ben volentieri a divertirsi davanti alla telecamera.
Nei tuo lavori spazi molto, prendi spunto da diversi avvenimenti, poesie, narrazioni, ma in generale hai un maestro a cui ti ispiri o a che hai preso da punto di riferimento?
Si, cerco sempre di spaziare il più possibile. So che ciò che sto per dire può sembrare falsa modestia, ma non lo è: considerando che non sono un Autore e, di conseguenza, non seguendo una certa linea o poeatica guida, ma essendo principalmente un tecnico/artigiano racconta storie, non mi preoccupo di fare film che tra loro non hanno nessun collegamento. Dunque, mi piace appunto sperimentare nuovi generi e adattarmi al tipo di film che sto facendo, scomparendo dietro la macchina per assecondare solo ed esclusivamente la narrazione. In linea di massima m’ispiro o a racconti o a fatti realmente accaduti, non ho una regola rigida; registi che mi piacciono ce ne sono tanti, ma il mio massimo punto di riferimento e d’ispirazione resta William Friedkin.
Sottolinei spesso di non essere autore. Da cosa prendi le distanze?
Lo penso seriamente; e credo che questa parola, soprattutto nel cinema indipendente, sia un pò troppo abusata autori sono da considerarsi nella storia del cinema al massimo una ventina di cineasti.
I tuoi progetti adesso? Ho visto che tra script e montaggio hai il tuo bel movimento in atto…
Sto per iniziare il montaggio di un docufiction sul famosissimo cuoco di Orsara di Puglia Peppe Zullo, il cui prodotto finito dovrebbe essere pronto per Natale. Inoltre realizzerò alcuni videoclip per un cantante di Manfredonia e a gennaio girerò un altro docufiction in cui affronterò i problemi relativi ai ragazzi disabili. Poi ci sono varie sceneggiature nel cassetto e altre in fase di script, ma al cinema di finzione tornerò più avanti…
E’ vero che il tuo ultimo film lo hai girato senza una sceneggiatura?
Si, esattamente. Avevo solo una scaletta base, soggetta comunque a variazioni in fase di montaggio
Cosa ti ha portato a fare questa scelta, un flusso di coscienza momentaneo o una decisione presa consapevolmente a tavolino?
Beh, come dicevo prima, essendo un docufiction, mi sembrava assurdo scrivere una sceneggiatura su cose che Peppe Zullo sa meglio di me; oltretuttto, avrei tolta molta spontaneità nella recitazione. E’ stato interessante lavorare con questo tipo di approccio e credo che in futuro lo userò anche in qualche film di finzione, magari solo in alcune sequenze, perché anche se ho cambiato idea di struttura molte volte durante la lavorazione, non avendo sceneggiatura é tutto molto più libero,
Ce ne parli?
Come dicevo, è un documentario (contenutisticamente e visivamente) girato però come un normalissimo film di finzione in cui s’intrecciano vari stili registici (campi e controcampi classici e macchina a mano, intervallati da sequenze tipicamente videoclippate), credo uscirà una cosa originale. Oltretutto, credo sia il film più completo che sia mai stato fatto su Zullo.