RACCONTO DI NATALE – Luca Ruocco
Natale 1973. Interno notte. La sala da pranzo di un appartamento piccolo – borghese. Carta da parato tendente al giallo con delle righine blu scure che si susseguono parallele senza mai incrociarsi.
Una grande vetrina, in legno, occupa per intero la parete più grande. Dentro argenteria, piatti [il servizio buono], sugli scaffali laterali delle foto incorniciate. Gente per bene incastonata in cornici d’argento, decorate a mano. Ti ricordi lo zio Augusto? Beh, si è beccato la cornice più di cattivo gusto [quindi probabilmente la più costosa, pace all’anima sua! Dannata.].
Oltre alla vetrina, riempiono i 40 metri quadri piccolo – borghesi un tavolo circolare, legno, attorniato da quattro volgari sedie con imbottitura intonata al giallo della carta da parato; un divano nero in pelle; due poltroncine in pelle, sempre nera [le poltrone non sono sicuramente ben conservate. Una in particolare ha subito più volte le angherie di Mao, il gatto di casa.]; un grosso televisore TELEFUNKEN, su di un mobiletto di vetro e metallo, con ruote. Per tutto il mese di dicembre, invece, ha riempito l’angolo lì a sinistra un grosso abete carico di luci e palline rosse e bianche.
Dentro la camera Silvio, figlio primogenito della famiglia Basile, piccolo – borghesi da poco, appena più di una generazione. Suo nonno aveva acquistato dei terreni a Roma, in quella che allora era l’estrema periferia, dove ora sorgevano sei o sette palazzine, che fruttavano un bel po’ di soldi all’anno. Quindi pace anche all’anima del nonno… che sia ancora più dannata di quella di zio Augusto.
Silvio sta usando il telefono, un apparecchio nero, ha in mano la cornetta e ha già composto il numero, mentre scrutava la sala da pranzo, le fotografie, le cornici, come se se le trovasse davanti per la prima volta.
Dall’altra parte risponde una voce femminile.
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Buio.
Natale 1979. Interno notte. La sala da pranzo di una casa diversa, ma sempre piccolo – borghese. I mobili che riempiono la stanza sono di certo più nuovi di quelli che riempivano quella di sei anni fa, ma la sostanza non è affatto cambiata.
L’aria che si respira in questa moderna casa del 1979, la prima casa di proprietà dei neo – coniugi Basile [a proposito! Proprio due mesi fa Silvio e Miriana sono convolati a giuste nozze..] è la stessa viziatissima aria di chiuso che si respirava nella casa precedente.
Anche se i muri non sono imbrattati di quella orribile carta gialla a righe blu, anche se i pavimenti non sono sovraccarichi di tappeti persiani buoni solo a raccogliere polvere, la casa ha lo stesso dannato odore piccolo – borghese della prima. Un odore di chiuso… che non va via. Mai. Nemmeno aprendo le finestre. Perché il chiuso che è li dentro, rimarrà chiuso per sempre, e sarà lo stesso chiuso che a qualche Natale di distanza [se non erro nel 1986] penetrerà nella mente già chiusa di Miriana, e la chiuderà ancora di più, la forzerà, la presserà, la comprimerà fino a farla impazzire. Fino a causare il fattaccio…
Per ora, però, Silvio e Miriana sono stesi uno sull’altro sul loro divano piccolo e borghese, in pelle marrone.
Qualsiasi animale sarebbe fiero di essere diventato un divano così elegante, e di lavorare per la famiglia Basile.
Sull’immancabile vetrina albergano la foto del matrimonio, appena fresca di stampa, e quella di zio Augusto, ricordi lo zio Augusto, vero? [la mamma ha così tanto insistito che Silvio la portasse con sé… Sapete, zio Augusto era così tanto affezionato al piccolo Silvio. Non aveva mai avuto figli… e Silvio fu il suo primo nipote. Povero Augusto! Che il Diavolo non gli risparmi nessuna pena!].
I due sposini guardano la televisione. E’ la vigilia di Natale, aspettano i loro ospiti per il cenone. Arrivati gli ospiti continueranno a tenere acceso il televisore.
Guarderanno il televisore anche la vigilia di Capodanno, il presidente della repubblica Pertini, rivolgeva per la seconda volta alla nazione i suoi auguri per l’anno venturo.
Miriana è già incinta. Silvio no.
Buio.
Natale 1986. Interno notte. Stessa sala da pranzo della stessa casa degli stessi Silvio e Miriana. Solo una novità: una nuova comparsa, Michele, il loro bambino di sette anni. Michele, incantato, osserva l’accendersi e lo spegnersi delle lucine colorate che si aggrovigliano attorno ai rami dell’abete natalizio. Uno spettacolo così semplice non l’aveva mai incantato i natali precedenti. Uno spettacolo così gelido lo incanterà un’altra sola volta durante la sua vita, e mai più.
Tornando all’‘86, Michele guarda l’albero, Silvio e Miriana, come spesso accadeva, sono immobili davanti al televisore. Hanno appena ricevuto la telefonata piccolo-borghese della signora Basile, che li avvisava di un suo piccolo ritardo alla cena di natale.. c’è ancora la possibilità di abboffarsi di immagini in movimento.
Il bambino di sette anni aspetta trepidante l’arrivo del famigerato Babbo Natale, quest’anno i genitori gli hanno promesso di fargli sbirciare il magico vecchio dalla serratura della porta. Michele non sta in sé. Prova eccitazione per la prima volta.
Pubblicità. Lo sguardo spento di Miriana si sposta verso Silvio, un colpo di gomito. Silvio non la guarda, ma è come se l’avesse fatto. Sbuffa, e puntella le mani sul divano di pelle, per alzarsi.
Dopo un po’ il salotto piccolo-borghese che puzza di chiuso anche nel 1986 è pieno soltanto delle presenze di Miriana e di Michele. Silvio, nella camera da letto sta indossando il vestito da Papà Natale, per dare inizio alla sceneggiata.
Nella testa di Michele le luci dell’albero on e off.
Nella testa di Miriana il chiuso sta per fare implodere la sua coscienza. Se solo qualcun altro avesse potuto sentire il suono di quel cervello che stava per impazzire, quel fischio continuo.. magari avrebbe potuto fermare la donna.
Ma nessuno l’aveva sentito, e Miriana aveva già sistemato Michele dietro la porta del salone, con l’occhio poggiato sulla serratura. Poi era tornata davanti all’albero, portando con sé un lungo coltello da cucina. Silvio Natale entrava ora in scena con un sacco sulle spalle. Silvio Natale cadeva ai piedi dell’abete, colpito dalle coltellate di Miriana. Non l’aveva mai vista con gli occhi così vivi. Molto sangue sul pavimento. Lo zio Augusto, con sguardo vile, si nascondeva dietro il vetro della cornice.
La porta dietro cui stava appostato il piccolo Michele si apre.
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Buio.
Natale: dal 1987 al 2001. Interno notte. Il piccolo Michele vive da solo la sua infanzia. I poliziotti che giusto un anno fa prelevarono la madre, reo confessa, non fecero caso alla sua presenza nel salone, occupati com’erano a rispondere alle domande ossessive dei vicini di casa affamati di scandali e tragicommedie.
Neanche la signora delle pulizie incaricata di rimettere in sesto il pavimento in parquet spugnoso azzuppato di sangue si interessò al futuro del giovane rampante Basile.
Nessun parente:l’unica nonna, madre di Silvio, suocera di Miriana, non arrivò mai alla cena del Natale del 1986: un infarto.. come lo zio Augusto! Ricordate lo zio Augusto, vero? Maledetto schifoso… continuava a fare finta di niente dietro a quel vetro sempre più opaco e impastato di polvere e umido. Demonio.
Gli anni del giovane Michele passavano, cadenzati dall’avvicendarsi dei 25 di dicembre. La biblioteca piccolo – borghese ricolma di corpulenti libroni mai sfogliati gli fornì un’ottima cultura autodidatta, di certo superiore a quella di un qualsiasi studente modello di liceo.
Riconobbe i sintomi della sua pubertà, e li accettò passivamente.
Durante il Natale del 1994, Michele, col viso segnato dall’acne e dai primi peli della sua futura barba non curata, rimase in concentrazione, in un angolo. I suoi occhi, ormai abituati a vedere al buio, avevano inquadrato (fissi) il nemico.
Ma bisognava aspettare il momento propizio, per non sprecare mesi di prove e pianificazione.
Attese nell’angolo fino alla vigilia di Natale di quattro anni dopo, cibandosi degli insetti che fuoriuscivano dalla carta da parati, ormai logora, quando, notando finalmente nello sguardo dello zio Augusto un momento di distrazione, trasformò il pensiero in azione in movimento.
La cornice contenente l’avo spiccò il volo e andò a frantumarsi contro lo stipite della finestra. Folletti di vetro esplosero all’impatto. Uno andò a conficcarsi nella gola dello zio baffuto. Si dice che dalla foto cominciarono a sgorgare fiotti di sangue.
Ora Michele era finalmente solo.
Il ragazzo valutò la situazione, e dopo altri tre anni riuscì ad arrivare alla sua conclusione: era libero di andare via.
Ingoiò un paio di ragni. Apprezzò parecchio il secondo.
Raccolse un pezzo del vetro ch’era stato di Augusto, lo infilò in tasca e si avviò verso la porta. La aprì, uscì e la richiuse.
Era il Natale del 2001.
Buio.
Natale 2006. Una stanza da letto molto modesta. Un letto matrimoniale sfatto. Coperte invernali. Ovvio interno notte. Dalla porta entra Elisa. Ride, lascia andare la porta. Michele entra in camera veloce, prima che la porta si chiuda.
I due si abbracciano, Elisa passa la mano nella barba folta del ragazzo. Per strada, musici viandanti suonano zampogne natalizie.
Michele ed Elisa vivono insieme, conducono una vita modesta, e passano le loro feste di Natale insieme per la seconda volta e senza televisore.
<>, sussurra la ragazza bionda e magra.
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La giovane infila una spina nella presa di corrente, la camera semibuia (e semivuota) viene inondata dalle lucine di un abete natalizio in plastica da 0,75 cm. La musica dei viandanti viene coperta da quella meccanica che accompagna l’on e l’off. Bianco Natale.
Per la seconda volta gli occhi di Michele si incantano a guardare quella creatura verde ricoperta di lampadine. E’ come ipnotizzato.
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Michele infila la mano nella tasca dei pantaloni, sempre gli stessi dal 2001, ma che vuoi, il capo firmato è stiloso è resiste molto meglio al passare del tempo.
Senza staccare gli occhi dalle lampadine gialle-rosse&verdi, il giovane estrae il vetro dalla tasca e di scatto lo infila nella gola della ragazza bionda, per zittirla. Lei continua a parlare per qualche secondo con la bocca che si riempie di liquido caldo. Qualche grottesco gorgoglio. La ragazza cade a terra morta, ai piedi del suo assassino, proprio come quel dannato dello zio Augusto.
Si dice che dalla sua gola non fuoriuscì neanche una goccia di sangue.
Mentre Michele si chinava per staccare la spina dal muro, e il suono delle zampogne riacquistava volume, i ricordi di altri Natali e di altre case si illuminavano di giallo ambrato.
Si accucciò in un angolo, sicuro che avrebbe dovuto passare lì il resto della sua esistenza.
<> – sussurrò.
Buio.