L’INCOLORE TAZAKI TSUKURU E I SUOI ANNI DI PELLEGRINAGGIO – Haruki Murakami
Cinque adolescenti, tre ragazzi e due ragazze, formano un cerchio magico, un gruppo inscindibile formatosi casualmente che raccoglie anime “colorate”, come gli ideogrammi che formano i cognomi di quattro di loro. Tutti tranne Tazaki, l’unico dal cognome “incolore”. Improvvisamente e, apparentemente, senza alcuna spiegazione Tazaki viene estromesso dal gruppo, strappato dal cerchio e lasciato a lacerarsi dal dubbio fino a sfiorare la morte.
Sedici anni dopo, grazie allo sprone di una donna che inizia a frequentare (Sara), l’incolore decide di scoprire gli eventi che hanno portata così tanta desolazione nel suo cuore, andando a cercare i suoi ex compagni di avventura in un doloroso pellegrinaggio.
Haruki Murakami rientra mezzo piede dal mondo fantasy di 1Q84 ed erige una storia più ancorata alla realtà, fatta di piccole ipocrisie, falsità e tanta tanta amarezza. Chi, leggendo la storia di Tazaki, non rievoca frammenti della propria adolescenza? Momenti che non devono necessariamente essere simili allo smacco subito dal protagonista, ma rammentare sensazioni di profonda solitudine che ci hanno tirato giù e che, anche col senno di poi, tornano a bussare nel silenzio della notte? Chi non ha anelato (e magari trovato) l’appiglio di una mano piccola e calda, ma comunque vigorosa, come quella di Sara? La forza di questo romanzo poggia proprio su semplici assiomi, così genuini da risiedere nel bagaglio della storia di tutti noi.
Lo scrittore gioca con i colori, li accosta per creare nuovi pantoni, li mescola per scoprire esperimenti visivi futuri e per leggere il passato. Sono colori che schizzano sulla tela, fluttuano nell’aria, sono sospinti da treni che sfrecciano ad alta velocità trasportandoli da una stazione all’altra, da un luogo all’altro, da un cunicolo dell’animo di Tazaki all’altro. Sara, personaggio che rappresenta il pennello che il protagonista non è in grado di utilizzare, colei che ne muove il corpo (e la mano) per ri-disegnare il passato affinché sia possibile colorare il futuro.
L’incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio lascia spiragli aperti, non chiude i misteri della trama ma sigilla il cerchio del viaggio nel passato, lasciando nel cuore di Tzukuru quella sensazione di compiutezza che trova spazio e connotazione all’interno dei confini (espansi) di una stazione ferroviaria, perché la vita è un lungo viaggio ma non è mai facile scegliere la stazione di partenza e quella di arrivo.
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