I’VE SEEN THAT FACE BEFORE – Grace Jones
Polanski aveva già realizzato in Francia un paio di cortometraggi nel 1961, ma fu nel 1963 l’anno in cui decise di lasciare definitivamente la Polonia comunista ed emigrarvi. Qui contribuì con un segmento (Il fiume di diamanti) al film corale Le più belle truffe del mondo, scontrandosi comunque con la scarsa volontà dell’industria cinematografica francese a supportare un regista di origini polacche (seppur nato in Francia).
Presto emigra in Gran Bretagna dove inizia una fruttosa collaborazione con lo sceneggiatore Gérard Brach con tre film: Repulsione (1965), Cul-de-sac (1966) e Per favore non mordermi sul collo (1967). Nel 1968 si trasferisce negli Stati Uniti, dove gira uno dei suoi film più noti, Rosemary’s Baby, con Mia Farrow e John Cassavetes. L’adattamento del romanzo di Ira Levin per lo schermo, vale al regista una seconda candidatura all’Oscar.
Il 1969 è probabilmente il peggiore anno nella vita del regista. Dapprima perde la vita per un incidente sciistico il compositore e suo amico Krzysztof Komeda, le cui musiche sono presenti in quasi tutti i film di Polanski (con l’eccezione di Repulsione) fino a Rosemary’s Baby. Quindi il 9 agosto, mentre il regista si trova a Londra, la setta di Charles Manson fa irruzione nell’appartamento di Roman dove la moglie Sharon Tate, all’ottavo mese di gravidanza, stava passando una serata con alcuni amici. Vengono tutti brutalmente uccisi. Questa vicenda lo sconvolge, creandogli sensi di colpa e rallentando la sua produzione.
Il suo primo lavoro dopo l’accaduto è un cupo e violento adattamento della tragedia di Shakespeare Macbeth (1971), forse una delle più belle mai fatte. Molti critici sono turbati dalla messa in scena disturbante dell’opera, in particolare Pauline Kael trova che l’assassinio di Lady Macbeth rievoca in qualche modo quello di Tate.
Polanski torna in Francia per girare L’inquilino del terzo piano (1976), di cui è anche protagonista, e chiudere così la cosiddetta trilogia dell’appartamento, iniziata 11 anni prima con Repulsione e proseguita con Rosemary’s baby.
La sua vita, han scritto, è come un romanzo pieno di colpi di scena … ci si può trovare di tutto: dalla guerra con i suoi campi di concentramento ai trionfi sul palco dei maggiori festival cinematografici, dai continui vagabondaggi attraverso l’Europa e l’America fino ai guai con la giustizia. Si trovano anche pagine di morte in questo libro, pagine che troppo spesso ne colorano di nero i capitoli. Questa storia che sembra un film è dominata dalla caparbietà e dalla forza del protagonista, che come la fenice risorge sempre dalle sue ceneri.
Polanski è un regista capace di spaziare in vari generi, regala al surreale/horror alcuni dei film più belli della storia del cinema, proprio come Rosemary’s baby o L’inquilino del terzo piano, ma per This big Hush concentriamoci sul giallo/thriller Frantic, film in cui emerge con classe ed in modo malcelato, un certo disprezzo verso i francesi … o almeno li dipinge in modo davvero poco simpatico e ottuso, specialmente per lo scetticismo (e una certa fastidiosa ironia) con cui accolgono in ogni ambiente il protagonista del film, il dottor Walker (interpretato da Harrison Ford).
Richard Walker e sua moglie Sondra giungono dalla California a Parigi per un congresso, e si ripromettono di rivivere come venti anni prima, i giorni del loro innamoramento sulle rive della Senna nell’hotel Ville Lumière. Appena in camera i due notano che all’aeroporto han ritirato una valigia non loro, e mentre lui è sotto la doccia, Sondra e la valigia scompaiono misteriosamente nel nulla. Walker contatta dapprima il direttore e il poliziotto dell’hotel, poi la polizia ed infine l’ambasciata, ma senza trovare mai aiuto alcuno. Angosciato e deciso ad agire per conto suo, il medico incontra sul suo percorso Michelle, una ragazza che era stata incaricata di portare in Francia (dagli Stati Uniti) una valigia: la stessa che, per somiglianza, era stata ritirata dalla signora Walker. Pensano che nella valigia ci sia droga, ma la sorpresa è un’altra …
Se si parla di Francia, specie negli anni ’80 e ’90, non possiamo non parlare anche di Grace Jones, praticamente un idolo nazionale. Si può ben affermare senza esagerazione che la Jones sostituì nel cuore dei francesi, il posto lasciato da un’altra icona esotica, Josephine Baker. Agli occhi di Grace Jones furono perfino ispirati i fari delle Citroen (di cui proprio la Jones era testimonial in uno spot famosissimo per noi adolescenti degli anni ’80) e degna di nota è stata la sua carriera di attrice cinematografica, con ruoli di buon successo tra cui la ladra Zula in Conan il distruttore, la spia-killer May Day in Agente 007 – Bersaglio mobile, l’eclettica testimonial Helen Strangé ne Il principe delle donne e, soprattutto, il vero e proprio cult quale la regina dei vampiri in Vamp. Vera e propria icona artistica vivente apprezzata, elaborata e sostenuta da artisti come Jean Paul Goude, Andy Wharol, David Spada e Keith Haring, fu anche nella musica una numero uno: regina della disco-music (I Need a Man, 1977), fu anche l’artefice della fusione tra la disco-music ed il reggae; Grace Jones legò il suo successo anche alle rivisitazioni in chiave disco di alcuni evergreen, tra cui nel 1978 la sua versione de La vie en rose di Edith Piaf e nel 1981 il classico di Astor Piazzolla Libertango; Pull up to the bumper sempre del 1981 che rimase per sette settimane al n. 2 della classifica Hot Dance Club Play e si piazzò tra i primi 5 singoli della U.S. R&B chart.
Polanski fa proprio di questa affascinante rivisitazione del celebre tango di Piazzolla, il tema portante del film. Più che tema portante un’ossessione, si può proprio dire che il brano perseguita il protagonista, al punto da fargli arrivare a chiedere chi è che la canta, rafforzandone ed amplificandone il senso filmico: non è solo una canzone sembra volerci dire, e non è solo una canzone del film; c’è, esiste … La Jones era un’icona nazionale, ma anche una grandissima beniamina dei Radical Chic, non è quindi per moda che il regista sceglie uno dei suoi brani, quello tra i più belli e di successo, ma lo usa per rappresentare nel film il mood di un popolo intero, un popolo ritratto in modo così sottilmente detestabile e stigmatizzato da queste note surreali, sospese, che ben si adattano a creare un clima di mistero, un sapore melò, permettendo allo spettatore di concedere diversi piani di lettura alle vicende.
Quanto finora presentato si può ascoltare e vedere nel videoclip originale ispirato dal bellissimo spettacolo One man show qui.
La canzone in una frase:
Strange, I’ve seen that face before,
Seen him hanging ’round my door,
Like a hawk stealing for the prey,
Like the night waiting for the day,
Tu cherches quoi, rencontrer la mort,
Tu te prends pour qui, toi aussi tu detestes la vie.