HARD CANDY – David Slade
Hard Candy. Decisamente un bocconcino amaro, una pillolina difficile da mandar giù. Non tanto per il tema trattato, quanto per la costante altalena a cui è sottoposto lo spettatore durante l’intera pellicola. L’immedesimazione e il processo di catarsi si sposta senza sosta dall’eroe all’antieroe, e il limite tra i due resta difficilmente distinguibile anche una volta giunti ai titoli di coda. E’ come guardare un quadro o una foto dalla composizione bizzarra e non conforme alle regole canoniche: l’occhio vaga senza sosta attraverso le linee di fuga, senza decidersi a sostare in un punto ben preciso.
Allo stesso modo lungo il dispiegarsi di questo thriller psicologico, lo spettatore si ritrova a tenere le parti un po’ dell’aguzzino, un po’ della vittima. I film in cui ci si ritrova a immedesimarsi nel cattivo sono decisamente pochi, e qui il confine tra i due ruoli è reso ancora più labile dalla presenza del delicato tema del farsi legge da sé. Perché è questo che si mette in testa Haily, una ragazzina di 14 anni (la ancora una volta notevole Ellen Page) quando adesca un trentacinquenne in chat fingendosi ingenua e sprovveduta: farsi giustizia e vendicare un’amica caduta nella trappola dei pedofili di turno.
Le sequenze sono girate interamente in un unico ambiente, teatro delle torture (più psicologiche che fisiche) a cui Haily sottopone la sua vittima, un appartamento nudo e spoglio, dai colori uniformi e piatti che pervadono l’atmosfera di una sorda claustrofobia. Ci si mettono poi la lucida mente perversa della protagonista, il suo spiazzante e impietoso accanimento, la freddezza e lo studio dei minimi dettagli a trasmettere un pervasivo senso di alienazione, ma non si può fare a meno di ritrovarsi a giustificare ogni suo gesto.
Ellen Page mirabile in un ruolo di difficile interpretazione anche per attori consumati. Di stoffa ne ha da vendere e qui lo dimostra ampiamente, riuscendo a mettere i brividi nonostante si prendano le sue difese. Decisamente un bel film low-budget ma d’impatto, più per le riflessioni che suscita, che per le scene di cui si è spettatori. Tema su cui soffermarsi a riflettere trattato senza banalità o pietismi. Un vero peccato non averlo distribuito nelle sale italiane.