FUORI DAL CORO – Sergio Misurarca
La commedia all’italiana e il poliziottesco anni ’70 si fondono insieme per l’esordio di Sergio Misuraca che prima di questo film ha tentato, come molti suoi connazionali, la fortuna come attore negli States.
Partito dalla Sicilia il nostro giovane cineasta ha dovuto mettere in campo tutte le sue doti, attoriali e non, per sopravvivere nello spietato mondo statuinitense e, tra le svariate attività svolte, si è ritrovato anche a fare il cuoco presso un ristorante di proprietà di Robert De Niro. Terminata la parentesi americana, Sergio torna in Italia per tentare nuovamente la fortuna, carico di nuova energia e con una sceneggiatura nuova di zecca da realizzare.
Il suo film parla proprio di un viaggio di andata e ritorno tra la Sicilia e Roma per la consegna di un importantissimo pacco da parte di Dario (Dario Raimondi) al Boss slavo Pancev (Ivan Franek). Dario è una “civetta” o “uccellino”, come viene chiamato nel film, nomignolo che negli anni di piombo indica un incensurato a cui è stato affidato un carico, dal contenuto a lui ignoto, da consegnare ad una persona di fiducia.
All’arrivo a Roma ad attendere Dario c’è suo zio Tony (Alessandro Schiavo) che non vede da un molto tempo; inizialmente il ragazzo è spaesato e non capisce quello in cui si è imbattuto. Da questo punto del film, quelli che sembrano i colori frizzanti di una commedia all’italiana virano su tonalità più scure, tipiche del cinema di genere.
Fuori dal coro è una storia che sembra attualizzare i plot dei romanzi di Giorgio Scerbanenco cercando in più punti di sdrammatizzare la serietà dei temi da quest’ultimo trattati mediante l’utilizzo di siparietti comici e condendo il tutto con incursioni nel pulp di matrice tarantiniana. Se inizialmente l’equilibrio tra questi ingredienti funziona, è proprio nello svilupparsi della trama che l’insieme non regge e non convince.
Lo sa bene Sergio, avendo avuto un passato da cuoco, che tentando nuove strade o mischiando più sapori molto spesso s’inventano piatti nuovi ma, come in questo caso, si rischia di risultare dispersivi, indecisi tra commedia o noir.
La mancanza di un budget degno di nota è sicuramente concausa, non permette al regista di rischiare percorrendo la strada del genere tout-court, per cui il tutto ha il sapore di una emulsione di generi poco amalgamati fra di loro. Peccato perché gli attori, specialmente Alessandro Schiavo (che in certi momenti ricorda moltissimo Gianmaria Volonté), sono perfettamente calati nel proprio ruolo. E non è per nulla scontato nel cinema di genere.