BLUE MOVIE – Alberto Cavallone
Pazzesco. Non c’è altro aggettivo per definire il cinema di Alberto Cavallone, regista ultra underground italiano degli anni ’70, ancor oggi autore di nicchia e di culto (per pochi). Il suo è un cinema sgradevole, scomodo e per niente rivalutato nel tempo, per quanto i suoi film siano avanti anni luce rispetto ai tempi moderni.
Dovranno passare ancora anni prima che lo “scat” passi da genere estremo a forma artistica cinematografica, ma in Blue Movie c’è anche questo. Una storia malata riassumibile in un susseguirsi di stupri ai danni della povera Sylvia (Dirce Funari) che, fuggita da un uomo mascherato, finisce nelle mani di Claudio (Claudio Maran). Quest’ultimo, al pari delle bamboline che lega, smonta e rimira, tratta le donne come oggetti puri da guardare attraverso una vetrata mentre defecano in un pacchetto di Marlboro oltre a cospargerle interamente di merda in una danza in qualche modo sensuale.
Il rapporto che mina la base di tutto il film è ossessivo e visionario, Blue movie è un’opera malata in cui A Clockwork Orange si mescola a Salò o le 120 giornate di Sodoma arrivando alla pornografia soft di una luce che esplora il corpo femminile di Daniela (Danielle Dugas), zingara disposta a tutto pur di sopravvivere. Nel cinema di Cavallone, poi, i dettagli sono importanti come le foto e i video tratti dal passato di Claudio, reporter fotografico di guerra. In questo la storia tramuta in una sorta di psicosi del protagonista anche se per tutto il film non si capisce se si tratta di vera follia o di gioco di complicità di un triangolo umano tra un uomo e due donne pazze.
L’uomo domina e la donna accetta di buon grado. Forse siamo di fronte ad una sorta di reazionarismo di destra che Cavallone ha voluto denunciare parallelamente al consumismo che già a quei tempi marciava compatto verso la vittoria. È innegabile la forza visiva di quest’autore, relegato sempre più in basso fino ad essere ricercato come una chimera da pochi, illuminati, amanti di un cinema di genere. Tuttavia questo status gli ha permesso di emergere come anima ed essenza di un cinema che non sarà mai in linea con i tempi (qualunque essi siano).