Through the Black Hole » IN LODE DEL PROFITTO E ALTRI SCRITTI – Luigi Einaudi

IN LODE DEL PROFITTO E ALTRI SCRITTI – Luigi Einaudi

Written by Francesco Scardone
RANK: 8/10

È veramente stupefacente rendersi conto di quanta ragione avesse Luigi Einaudi nel constatare l’eccessiva statalizzazione verso cui già si avviava l’Italia, come il più grande male che mai avrebbe potuto affliggere questo paese.

Nei tredici saggi che compongono In lode del profitto e altri scritti (come, d’altronde in tutta la sua opera, sia politica che editoriale) sono sempre gli stessi i temi su cui batte la sua penna: disprezzo verso il collettivismo, esaltazione dell’individualità e dell’iniziativa privata, disgusto per i monopoli di qualunque tipo, “amore” verso il libero mercato e ogni sua possibile declinazione.

Suona addirittura imbarazzante capire come Einaudi avesse previsto tutto: a) il cittadino demanda allo stato la sua vita, il suo lavoro, b) lo stato gli garantisce dei privilegi, privilegi che lo preserveranno dalle mire altrui, privilegi che daranno vita a caste via via sempre più inattaccabili nella loro essenza, c) caste siffatte instaureranno il loro monopolio che, proprio per mancanza di competizione (resa impossibile dallo stato), renderà i servizi da loro offerti (sia intellettuali che materiali) sempre di più scarsa qualità, d) la connivenza tra stato e cittadino, così lasciata instaurarsi, darà vita a paesi che scarsamente e malamente producono.

Ed eccoci arrivati all’Italia di oggi: un paese nel quale pronunciare la parola imprenditore equivale a bestemmiare; un paese nel quale tutti rincorrono il titolo più prestigioso (certificato nella sua prestigiosità dallo stato), dimenticando che la prima regola necessaria per svolgere un lavoro sia il saperlo fare e non semplicemente possedere i documenti che ti rendono possibile ambire al lavoro stesso; un paese che, nei suoi salotti borghesi, si batte per i diritti degli operai o simili e poi repelle all’idea che un figlio (o un lontano parente) possa cominciare un lavoro che non gli garantisca almeno la dicitura “Dott.” sulla targhetta del citofono; un paese in cui l’artigianato e il suo perfezionamento sono sempre più mal visti; un paese in cui l’impegno e il talento non saranno mai premiati.

L’italiano si è reso conto, per pigrizia e per tornaconto personale, che era molto più facile lasciare che lo stato decidesse per lui, si è preso il suo bel posto variamente retribuito e ha lasciato che le cose continuassero il loro corso. La spinta e la formazione di nuove imprese è stata debellata, la lotta che Einaudi auspicava affinché tali imprese potessero tenersi in vita e garantire la qualità e la varietà di scelta è stata resa impossibile da leggi ad hoc, provvedimenti vari, ulteriori premi a quelle classi che già detenevano il monopolio e il potere. Si è arrivati all’assurdo che lo stesso privato è diventato pubblico almeno quanto il pubblico. Ecco perché, se si ha bisogno di un medico, è meglio rivolgersi ad uno stregone sciamano, tanto i nostri cari dottori faticano a distinguere una diarrea da un cancro al retto.

Ecco perché i titolati professori non conoscono nemmeno le basi di quello che dovrebbero insegnare e finiscono per assomigliare più a baby-sitter che ad insegnanti (illuminanti, a riguardo, tutti gli scritti sulla scuola in cui il principio primo è quello, sacrosanto in un paese non composto di idioti, di togliere valore legale a qualsiasi titolo di studio).
Ecco perché gli studenti universitari (soprattutto se del Sud) si ritrovano a studiare la storia e la letteratura dai testi di eminenti personalità, le quali hanno per tutti deciso che il socialismo sia l’unico faro nella notte buia e scrivono i loro testi spacciando queste per le sole, uniche e possibili verità.
Ecco perché, se dovete ristrutturare casa, gli operai finiranno per rompervi le tubature dell’acqua e allagarvi il bagno, perché non hanno mai pensato che nel loro lavoro una maggiore specializzazione ed impegno porterebbero risultati migliori sia ai clienti che a loro stessi.
Ecco perché parlare di diritti dei lavoratori e diritti degli studenti non ha alcun senso: i lavoratori non lavorano, gli studenti non studiano, entrambi si apprestano, gli uni a permanere, gli altri ad entrare, nel sistema che così abilmente hanno fatto in modo che lo stato instaurasse in modo da goderne, entrambi, i massimi privilegi. Privilegi che, è chiaro, potranno spingersi solo fino ad un certo momento, solo fino a quando ci saranno soldi per garantire salari a persone che non fanno quello per cui vengono pagate e poltrone a politici con il solo programma politico di comprarsi la casa più grande.

La produzione di un paese di questo tipo si avvicina, con il passare degli anni, ad un livello pari allo zero, e non ci vuole certo un grande economista per capirlo. La coesistenza tra diversi modelli di vita eterogenei e in continua lotta fra loro è stata resa impossibile dalla politica di stato, che i cittadini, soprattutto, hanno voluto e fatto proliferare. L’odio per il profitto, quel denaro che il singolo, mettendosi in gioco con le sue qualità (di qualunque tipo esse siano, sempre rimanendo in un campo legale), rischia di perdere o di raddoppiare, è stato da tutti malvisto, contrapposto al salario fisso, idolatrato, che si pretende essere denaro onesto e faticato in ogni caso. Entrambi i salari dovrebbero coesistere, dice Einaudi, in un paese produttivo, per due principali ragioni: garantire il progresso, possibile solo quando esista un sovrappiù garantito da un individuo che si è messo in gioco e rendere possibile che sia chi aspira ad una vita più tranquilla e senza imprevisti (sempre nella qualità del lavoro), posizione degna di tutto il rispetto, sia chi scommette su se stesso possa vivere nel modo che più gli è consono. Tenendo sempre presente, però, che un paese senza imprenditori è un paese prossimo allo stagnazione e all’immobilità.

Nemico giurato di ogni tipo di socialismo, liberale vero, Einaudi è una figura che l’Italia ha messo in secondo, se non in terzo piano, preferendogli personaggi di tutt’altro valore. Nel mondo che ci propone Einaudi ognuno è libero di esprimere se stesso nel modo che gli è più consono; nel mondo, invece, la libertà di scelta non esiste e l’unica possibilità è conformarsi all’idea di Io che lo stato ha deciso per noi.

RANK: 8/10

Posted in Saggistica by Francesco Scardone on novembre 29th, 2012 at %H:%M.

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