2019 DOPO LA CADUTA DI NEW YORK – Sergio Martino
In uno scenario post-apocalittico con città devastate da una terza guerra mondiale, risolta con l’utilizzo di armi atomiche, la sterilità è diventato il primo problema che lentamente sta spazzando via la razza umana. La Nuova Confederazione sembra aver trovato una soluzione: una donna in coma sin da prima dello scoppio del conflitto, non intaccata dalle radiazioni e quindi capace di ovulare.
La donna si trova a New York, ma nessuno della Confederazione sembra in grado di calarsi nella città e raggiungere la donna, quindi viene identificato un guerriero, Parsifal, come ultimo baluardo per il perseverare della razza umana (che nel mentre sembra goderci nel continuare a distruggersi, azzerando il final countdown). L’uomo, accompagnato da un esploratore e da un altro combattente, si insidia dentro la città in mano ai semi-nazistoidi Eurac, cercando di guadagnarsi il biglietto sull’astronave Alpha Centauri, per portare avanti la razza lontano dalle radiazioni.
Nato sulla scia di 1997 Fuga da New York, imbastardito con Mad Max e, addirittura, Il Pianeta delle scimmie, il film diretto da Sergio Martino (con lo pseudonimo di Martin Dolman) ha un sapore trash che lo permea dalla prima all’ultima scena, lascia una sensazione di retrò che non può che solleticare chi passava torride serate estive a guardare film del genere in onda sui più bizzarri canali televisivi. Come non citare le pistole o le spade giocattolo, i mezzi spaziali o le distese devastate della terra riprodotte con modellini, le macchine rattoppate alla bell’e meglio che caratterizzano questo 2019: dopo la caduta di New York? Atmosfere fantascientifiche (attenzione, parliamo di fantascienza all’italiana anni ’80) che si mescolano a guizzi horror e scene action ben montate, su un impianto, però, decisamente appesantito da scene di contorno inutili e da lungaggini che aumentano la noia.
Terrificanti gli attori, specialmente i protagonisti Michael Sopkiw e Anna Kanakis, monolitici nelle espressioni e incapaci di trasmettere alcuna emozione. Non sfugge dalla pessima recitazione George Eastman, nel ruolo del capo della comunità di uomini-scimmia, probabilmente incapace di entrare nel personaggio scritto alquanto malamente.
Imperdibile per gli amanti del genere, storico per chi vuole tracciare il cinema italiano negli anni ’80, trascurabile per tutti gli altri.