…E TU VIVRAI NEL TERRORE! (L’ALDILA’) – di Lucio Fulci
Il cerchio d’onda creato da un sassolino di nome H.P.Lovecraft continua imperterrito ad espandersi. Innumerevoli le citazioni in libri, film e canzoni, innumerevoli gli artisti che ne sono rimasti affascinati e ossessionati e ne hanno tratto ispirazione per i loro lavori. E tra questi, un rinomato estimatore è rintracciabile anche nel “nostro” Lucio Fulci, che va a pescare nell’immaginario lovecraftiano il libro delle profezie di Eibon: il libro delle sette porte dell’inferno, nascoste per terra e per mare e attraverso le quali il male può dilagare sulla terra.
La scena prende le mosse in Lousiana, anno 1927, quando Zweick, un pittore accusato di stregoneria, viene inchiodato vivo e ricoperto di calce viva nei sotterranei dell’hotel “Sette Porte”. Ci spostiamo quindi nel 1981, quando Liza riceve in eredità il famigerato hotel e si appresta a rimetterlo a nuovo.
Eventi inquietanti e inspiegabili, morti improvvise e violente si susseguono da subito e perseguitano chiunque si avvicini troppo all’albergo o cerchi di scoprirne i segreti. Corpi disciolti nell’acido, tarantole assassine, occhi cavati di netto, crani spappolati, sangue a fiotti, cadaveri che tornano in vita e molto altro.
Il terrore e l’angoscia di Liza crescono, inoltre viene messa in guardia da Emily: la ragazza, cieca e apparsa dal nulla, la supplica di andarsene da quell’albergo ma il motivo rimane oscuro e inspiegato, finchè non viene ritrovata una copia bruciacchiata del libro di Eibon. L’hotel è stato costruito su una delle 7 sette porte del male, riaperta durante i lavori di ristrutturazione. Il terrore defluisce liberamente ammorbando le terre mortali, portando con sè il vuoto e la desolazione totali. Quelli della scena finale, che vede Liza aggirarsi in uno scenario spettrale fatto di morte e distruzione dal sapore post-atomico, in un silenzio denso e pesante spezzato solo da sussurri insistenti di voci lontane che chiamano il suo nome. Liza, diventata cieca a sua volta dopo aver scoperto il segreto di Eibon e dell’hotel Sette Porte, vaga all’interno dello splendido quadro surreale di Zweick. O forse è il quadro ad aver invaso il mondo, diventando realtà.
Film volutamente confusionario, visionario, onirico, terrificante, di un terrore che assedia e non lascia scampo, fino alla desolazione eterna. Un susseguirsi di violenza urlata a tinte forti ma con passo lento e inesorabile sullo schermo fino all’apice, dove esplode con un sordo silenzio che lascia frastornati e smarriti. La scena finale, pur in assenza di sangue e violenza esplicita, è la più terrificante di tutto il film, con la sua fredda e spigolosa angoscia. Fulci infatti ci sbatte in faccia quello che forse è l’incubo più oscuro e denso dell’intero genere umano, un incubo innato che cerchiamo in tutti i modi di mettere a tacere, ma che fa parte di noi e che sta lì in ognuno di noi, alberga in silenzio in attesa solo del momento giusto per sopraffarci. La domanda del “che c’è dall’altra parte?” e il terrore che la risposta stia in un preciso quadro: un aldilà grigio, fumoso, vuoto, pervaso dal nulla e dal silenzio eterni, dove ci ritroveremo costretti ad aggirarci senza pace, senza scopo e senza meta, senza volontà, senza emozioni, solo più ombre spettrali di noi stessi, senza nemmeno un vago ricordo di ciò che eravamo.
Un Fulci magistrale, accompagnato da altrettanto magistrali collaboratori, a partire da Fabio Frizzi, autore delle splendide musiche in uno stile prog da colonna sonora thriller che ha fatto un’epoca, sulla scia dei più famosi Goblin. Bellissimi gli effetti speciali di Giannetto De Rossi, decisamente apprezzabili nonostante l’occhio ormai non più vergine e ingenuo dello spettatore odierno intuisca facilmente l’artefazione. Una garanzia la fotografia di Sergio Salvati, ottimi e convincenti gli attori, persino il fastidioso Mirabella, qui assalito dalle tarantole.
Unici punti a sfavore risultano un ritmo a tratti un po’ lento, per quanto probabilmente voluto per instillare nello spettatore un senso di esasperazione, e l’invasione degli zombies che tutto sommato non c’azzeccano un granchè e non aggiungono nulla né alla trama né all’atmosfera, a dirla tutta secondo il progetto originale di Fulci non dovevano proprio esserci, ma anche ai grandi nomi capita di dover dare un contentino alle masse e soprattutto ai produttori paganti.
Una pellicola che rimarrà un caposaldo del genere, da vivere più che da vedere, senza soffermarsi sulle immagini ormai desuete per il nostro occhio imbastardito dal virtuale a oltranza, per concentrarsi invece sulle sensazioni più intime e devastanti che sa risvegliare.