BARBIE – Greta Celeste Gerwig
Sulla carta poteva essere un successo completo o un fallimento completo, quella che ne esce fuori è un’operazione estremamente intelligente che riesce in maniera furba a far dimenticare allo spettatore i difetti che ha. Barbie è un film di poco meno di due ore che scorrono meravigliosamente cavalcando l’onda del musical, degli stereotipi e che più di una volta fanno fare un grosso sospiro al pubblico.
Barbie (Margot Robbie) vive in un mondo tanto fatato quanto statico, lobotomizzato vale a dire Barbieland. In questo mondo sono le donne e il cosiddetto (mai nominato) matriarcato a farla da padrone, tutto il contrario del mondo reale, ma c’è qualcosa che stride ci sono delle crepe nell’animo di Barbie, pensieri di morte, cellulite che avanza, perfezione che vacilla, ma non sarà che la nostra eroina sta male? A tal proposito, sotto consiglio di Barbie-stramba decide di intraprendere un viaggio nel mondo reale, dove la frattura si è creata, allo scopo di ricongiungersi con colei che in fondo è la madre di questi pensieri apparentemente negativi, vale a dire la ex-bambina Sasha (Ariana Greenblatt) che un tempo giocava con le bambole e sognava un mondo fatato ma che adesso si ritrova a doversi scontrare con la vita reale di tutti i giorni.
Messa così sembra un prodotto molto serioso e filosofico, invece questo rischio è stato ampiamente aggirato, Barbie riesce a mantenere una leggerezza nella narrazione e un equilibrio nella fruizione che denotano l’intelligenza di Greta Gerwig e Noah Baumbach nello scrivere. Infatti il rischio, dati i temi trattati tra cui cosa sia il femminismo, la donna e i diritti di quest’ultima, di scadere nella pesantezza e nella retorica era dietro l’angolo.
In fondo parliamo sempre di un film su una bambola per cui la chiave di lettura della leggerezza era di vitale importanza. Attenzione, leggerezza non superficialità, il film su Barbie è leggero ma mai superficiale ma come abbiamo detto anche molto furbo perché maschera quelle che sono le sue criticità evidenziandole e facendoci una battutina e un sorrisetto sopra. Ad esempio, il tema della spaccatura tra mondo reale e fittizio è fondamentale per la comprensione di quello che accade perché poi porta lo spettatore al passo successivo, vale a dire “Come ricongiungere i due mondi?”.
Ecco, da li in poi la trama si perde un po’ tra la retorica, i balletti e le grasse risate. Infatti, il viaggio nel mondo reale non solo apre gli occhi a Barbie su cosa sia la vita vera ma lo fa anche con Ken (Ryan Gosling, nella sua migliore interpretazione). Egli infatti si rende conto che nella vita vera sono gli uomini a dominare la società, con il famoso PATRIARCATO, allora decide di portare quel “sapere” in Barbieland trasformandola in un mondo dove è il genere maschile a farla da padrone e non come era stato fin’ora dove l’uomo era solo un’appendice senza senso della donna…
Vi ricorda qualcosa?
Da quel punto in poi comincia tutto un tentativo da parte di Barbie, Sasha e sua figlia Gloria (America Ferrera) per tentare di ristabilire l’equilibrio iniziale, anch’esso sbagliato. In effetti non ci vuole un genio a capire che i disequilibri e disparità tra i generi nella nostra società ci sono e sono evidenti ma il punto è quale strategia adottiamo per risolvere questa criticità, cercando di non far si che si adotti una “cura peggiore del male”. Il punto è che non si può cercare di emergere cercando di affossare e sminuire l’altro, ognuno in generale dovrebbe emergere per le proprie capacità e non grazie agli stereotipi o punti di forza che il genere ha.
Ecco, tutti questi concetti sono presenti in questo film ma forse sono veramente troppi da gestire. Il film parte come un Toystory, si sviluppa mettendoci dentro tanto rosa e tanto musical e finisce per diventare un maschi-contro-femmine e Pinocchio, decisamente troppa carne al fuoco. Sarebbe stato più opportuno non introdurre troppi argomenti e mantenere il focus su un paio di concetti e a mio avviso la sceneggiatura ne avrebbe guadagnato di efficacia.