UNA DONNA PROMETTENTE – Emerald Fennell
Esce nelle sale cinematografiche in Italia il 23 Luglio 2021, anziché il 13 maggio, per polemiche legate al doppiaggio di un personaggio transgender, Una donna promettente (A promising young woman) di Emerald Lilly Fennel. Una produzione quasi per intero “rosa” quella di questo film che tratta tematiche sempre più attuali vale a dire l’umiliazione perpetrata nei confronti delle donne e il pregiudizio riguardo la loro condotta morale.
Cassandra (Cassie) Thomas è una ragazza che lavora in una mediocre caffetteria di proprietà di Gail e proprio lì un giorno incontra un ragazzo che frequentava la facoltà di medicina con lei, il Dott. Ryan Cooper, medico pediatra. Tra i due c’è fin da subito intesa ma mentre Ryan si dimostra subito dolce e predisposto all’innamoramento, Cassie si mette subito sull’attenti come se avesse delle difficoltà ad aprire il suo cuore e i suoi sentimenti. Cassie conduce una doppia vita, come una supereroina, di giorno è una donna depressa e disillusa che lavora ad una caffetteria e vive ancora con i suoi genitori ma di notte punisce severamente i maschi che si approfittano dello stato di ubriachezza delle donne per abusare di loro.
Se pensate che in questa pellicola gli uomini ne escano vittoriosi, decisamente questo film non fa per voi, se pensate che invece questo film possa farvi riflettere allora fa al caso vostro. In effetti il comportamento esageratamente aggressivo di Cassie, che ovviamente sfocia nella patologia e sapientemente la regista lo ha più volte rimarcato, ha la sua motivazione di fondo.
Senza svelare troppo sulla trama la cosa che colpisce del lavoro della regista è l’intelligenza con cui tratta delle tematiche spinose, dimostrando non solo di essere un’abile penna ma di saper maneggiare il genere, in questo caso black-comedy, fin nelle più sottili sfumature. Nel suo lavoro infatti c’è la summa di tutto quanto più riprovevole essere umano, maschile ovviamente, possa compiere nei confronti di una donna. A cominciare dal pregiudizio nei suoi confronti e della sua condotta morale apparentemente libertina, per poi continuare con l’approfittarsi di lei e della sua vulnerabilità derivata dall’abuso di alcool e sostanze stupefacenti, fino a toccare, ciliegina sulla torta, il famoso “revenge-porn” pratica meschina che consiste nel filmare l’atto sessuale nel quale la persona oggetto di molestie è protagonista e divulgarlo a mezzo internet e social senza il consenso del diretto interessato.
Ovviamente la regista ci fa anche capire che non tutti gli uomini sono così anche se determinati pregiudizi effettivamente sono molto difficili da sradicare dall’animo maschile.
In questo momento l’attenzione e la sensibilità verso le minoranze e le categorie cosiddette fragili si è fatta molto più accesa che non in passato e questo è molto giusto ma se da un lato questo riflettore finalmente acceso su queste tematiche è un bene il rischio che la genuinità del concetto di fondo venga travisata è dietro l’angolo, così come la strumentalizzazione di un’intera categoria. E’ inutile nascondersi dietro un dito le categorie sono sempre esistite e anche la discriminazione delle stesse, combattere contro quest’ultima è un dovere di ogni singolo individuo prima che della collettività quello che invece non va bene è che tutto diventi uno slogan politico o peggio ancora un hashtag, perché altrimenti si corre il rischio di buttare nel mucchio un problema serio facendogli perdere forza e annacquandolo con paroloni all’unico scopo di riempire le testate giornalistiche, i concerti e i talkshow.
Rimanendo al film il lavoro della regista è pregevole non solo dal punto di vista della scrittura ma anche da quello della ricerca stilistica che ha svolto riadattando alcuni classici della musica pop anni ’90/primi 2000 e traendo ispirazione (soprattutto nella parte finale del film ndr) anche da alcune pellicole di genere di quegli anni. La polemica, tutta italiana, sulla scelta di far doppiare un transgender, in questo caso, da un uomo e soprattutto da un professionista di chiara fama come Roberto Pedicini è la dimostrazione plastica di come sia molto facile travisare o strumentalizzare una tematica così importante quanto spinosa come l’inclusività e l’attenzione nei confronti delle categorie fragili.
Il rischio di fare dei processi alle intenzioni è veramente dietro l’angolo.
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