MOON – Duncan Jones
Un uomo e il suo fidato computer sono gli unici abitanti di un hangar innestato sul suolo lunare. Il loro compito è quello di regolamentare, manutenere e controllare i lavori effettuati sulle rocce del satellite, nuova fonte di generazione di energia pulita. Un improvviso incidente mina ogni certezza dell’uomo, mostrandogli una verità sino a quel momento nemmeno sospettata.
Duncan Jones sfrutta ogni centesimo del suo piccolo budget per far vivere un microcosmo all’interno delle immense e desolate lande spaziali. Chiude l’azione dentro gli spazi della piattaforma lunare, riduce le interazioni con agenti esterni all’osso e focalizza l’attenzione verso il dialogo tra Sam Bell (Sam Rockwell) e Gerty (la voce è di Kevin Spacey), in un incedere che cita esplicitamente 2001: Odissea nello spazio, per poi seguire una propria filosofia e derivazione intimista. Lo spazio diviene luogo dove è facile perdersi, isolarsi fino a non riconoscersi più, e l’hangar è visto dal di fuori come una minuscola roccia chiara in un mare nero.
Moon raccoglie moltissime influenze dalla storia del cinema di fantascienza, quello silente di Solaris non il chiassoso de La guerra dei mondi, le poggia su un humus indipendente e ne studia l’evoluzione, rappresentando la profonda solitudine dell’uomo e la sua deriva sotto un cielo dove le stelle luccicano negli infiniti spazi del cosmo.
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