HANGAR 10 – Daniel Simpson
I film ufologici solitamente si basano sui più sconcertanti incontri di ufo, sugli abduction (rapimenti alieni) o sugli ufo crash (vedi Roswell). Il found-footage ideato da Adam Preston e Daniel Simpson prende spunto dal più noto avvistamento su suolo inglese, quello avvenuto nella foresta di Rendlesham alla fine del 1980, vicino alla base aeronautica di Woodbridge, ma che in quel frangente era utilizzata dalla Us Air Force.
Hangar 10 è un horror-fantascientifico che incute davvero paura, la paura verso l’ignoto che non rimane a farsi desiderare ma che entra prepotentemente in contatto con noi. Il cuore della foresta di Rendlesham è buio, imprigionato dai numerosissimi alberi che corrono verso il cielo sino a sorreggerlo, la miriade di animali morti avverte gli ignari visitatori di non entrare. Disegnata ad arte, la foresta suscita enigmi per le sue due facce: fredda e silenziosa di notte, con diversi sfondi colorati e apparentemente popolata di giorno.
Gli unici segni di vita umana sono aerei ed elicotteri che sfrecciano nel cielo ruggente, pronto a spaccarsi da un istante all’altro, le sue nuvole nere non riescono ad occultare la sagoma di qualcosa di gigantesco, ad un passo dallo svelarsi.
Impressionanti suoni metallici in lontananza fanno eco facendo oscillare gli alberi, luci potentissime sommergono la foresta rendendola innaturale, si moltiplicano senza che i tre filmakers possano dare una spiegazione plausibile. I loro metal detector manuali suonano in continuazione, anche quando incredibilmente vengono puntati verso il cielo attraversato da palle rosso fuoco. Il viso dolce di Abbie Salt e quello scarno, segnato, del cameraman Danny Shayler (già visto in The Hounds), non solo occhio ma protagonista vero e proprio, sono i nostri intermediari di una realtà sconvolgente cui noi, forse, non siamo ancora pronti.
Curatissima la fotografia dello stesso Simpson che compone delle inquadrature pregevoli che si allacciano con i suggestivi scenari del posto, divenendo veri e propri quadri con una grande profondità di campo.
La base aeronautica abbandonata e muta immersa in una coltre grigia è il “punto di virata”, preannunciato dal cartello semi-scolorito dell’ U.s. Air Force Installation, dal cancello semiautomatico in cortocircuito non presidiato. Il sole quasi completamente oscurato e gli alberi scarnificati, su cui poggiano una miriade di uccelli che sembrano tramutarsi in avvoltoi, accompagnano i protagonisti allo zenit della vicenda.
Daniel Simpson dissemina Hangar 10 di immagini, una più bella dell’altra, non solo dimostrando idee chiare, ma senza calcare mai la mano, portando avanti la storia in un turbine conclusivo, forse non imprevedibile, ma denso di interrogativi in cui l’uomo dimostra di essere solo un puntino infinitesimale nell’universo. Tra i più autentici found footage mai girati, coadiuvato si da effetti speciali digitali ma che si avvale al cento per cento dell’ambientazione facendola sua, un’autentica rappresentazione della finta realtà che supera l’immaginazione del cinema tradizionale (un esempio recente per tutti Oltre il guado di Lorenzo Bianchini).