WARM BODIES – Jonathan Levine
In un futuro pericolosamente prossimo, l’umanità è ridotta all’osso da una misteriosa pandemia che ha trasformato le vittime in morti ambulanti e affamati di carne viva. I pochi superstiti vivono in bunker, al di fuori dei quali sono le orde di zombie a dettare legge; durante un pattugliamento di routine nella “zona morta” la squadra militare di Julie (Teresa Palmer, Sono Il Numero Quattro), figlia del capo-esercito Grigio (John Malkovich, Essere John Malkovich, Con Air), viene attaccata da un manipolo di mostri e il fidanzato della ragazza, Perry (Dave Franco, Fright Night), soccombe tragicamente.
Il giovane infetto R (Nicholas Hoult, About A Boy, X-Men – L’inizio), con reduce sensibilità, non si cura del momento concitato e trova il tempo di notare la ragazza e di innamorarsene; la salva dunque dai suoi simili portandola con sé in un rifugio sicuro dove, tra comprensibili difficoltà di convivenza, proverà a dimostrarle che non tutti gli zombie sono bamboccioni senza cuore.
Fuori, la battaglia tra mostri e umani infiamma le strade della città; dentro, due ragazzi cercano di coltivare un amore impossibile, noncuranti della decomposizione. E magari di sfuggire allo status di coppietta simil-Twilight.
È così, infatti, che si rischia di recepire il messaggio promozionale di Warm Bodies, love-story a tenuissime tinte horror diretta dal promettente Jonathan Levine (50/50, Fa’ La Cosa Sbagliata). Un belloccio dal colorito preoccupante, zombie parental control, sentimenti e sentimentalismi vari. Non sorprenda dunque lo scontato paragone, sebbene la genesi di Warm Bodies sia di matrice molto più indie: Sono Uno Zombie Pieno D’Amore, un breve racconto di sette pagine pubblicato online da Isaac Marion, ottenne una tale portata di apprezzamenti da convincere l’autore a trasformarlo in un romanzo (pubblicato nel 2010). Il passo successivo è stato inevitabilmente il grande schermo.
Fin dalla sequenza di apertura, nella quale R presenta se stesso e la realtà post-epidemica in cui vive, è evidente che non siamo di fronte a un Twilight/bis: acume e ironia pervadono il racconto, sia nei momenti più giocosi – le conversazioni monocorde degli zombie o le prime attività ludiche tra R e Julie (con tanto di buffa citazione Fulciana) – sia negli scorci di azione e di combattimento. Non senza ruffianeria, sia chiaro, in una storia d’amore inevitabilmente dedicata a teenager fresche di disintossicazione da Edward Cullen, dove i cuori pulsano e la musica da cameretta trionfa (ma anche un’inattesa “Patience” dei Guns N’ Roses che prova a scaldare qualche cuore più cresciutello). Nel tortuoso percorso di intimità fra la ragazza “open-minded” e il divoracervelli rigorosamente figo c’è di tutto: il ragionevolmente dubbioso papà Malkovich, i cattivissimi Ossuti, zombie irrecuperabili, riferimenti shakespeariani (help!) e una scintilla d’amore che diventa speranza per recuperare l’umanità tutta.
Fra alti e bassi, Levine e Marion sono strateghi del dosaggio e diluiscono lo zucchero con trovate niente male: non mancano le battute da ricordare (in un momento d’imbarazzo, R pensa “Voglio morire. Di nuovo.”) nè personaggi a cui affezionarsi (l’adorabile M, amico del protagonista). Nonostante lo schema inevitabilmente rigido e prevedibile, la pellicola ha il grande merito di non turlupinare nessuno: centro sicuro con la giovanissima generazione, Warm Bodies osa anche avventurarsi verso altre fasce di pubblico con momenti da commedia soprannaturale e azione, ricordando in definitiva molto più il simpatico Aiuto Vampiro (Paul Weitz, 2009). Sempre ed estremamente lungi dalle logiche dell’horror e, va da sé, dalla gloriosa tradizione dello zombiemovie. Perché sotto una luce Romeriana, un morto vivente senziente ed innamorato è peggio che bestemmiare in chiesa.
Warm Bodies è un prodotto teen rispettoso dell’intelligenza del pubblico tutto, deponendo a fare del fatto che anche una sgangherata liaison “zombumana” possa far sorridere ed intrattenere se munita (ironicamente, vista la tematica!) di cervello.