UN DELITTO POCO COMUNE – Ruggero Deodato
Le mani di Robert Dominici scorrono via veloci sui tasti del pianoforte, con impeto e orgoglio, mentre una donna si trova in compagnia del suo assassino, fragile e indifesa, e un colpo mortale sta per esserle inferto. La folla applaude per l’esibizione mentre Robert, compiaciuto, si inchina di fronte alla folla.
La vita del musicista cambia in maniera devastante quando gli viene diagnosticata una malattia che ne fa deteriorare rapidamente le cellule, portandolo alla vecchiaia in un lasso temporale decisamente più ristretto del normale. Una sentenza di morte che si tramuta in tenuta da boia per Robert stesso, sospinto da un irrefrenabile senso di ribellione che vuole soffocare chi è a conoscenza del suo male.
Una malattia degenerativa come nucleo scatenante di morte, un motore propulsivo in grado di rompere tutti i meccanismi della mente per ricostituirli intorno ad una mano lorda di sangue. Una camera di depressurizzazione impossibile da frenare, anche (e specialmente) di fronte alla scoperta della nascita imminente di un figlio. Un delitto poco comune sembra scritto con la mano sinistra da Gianfranco Clerici, già sceneggiatore del più noto Cannibal Holocaust, in quanto viziato da una forma televisiva che ne rende innocua la visione. Anche la scelta di mostrare dal primo istante l’assassino tende a snaturare la curiosità che solitamente avvolge i gialli\thriller di stampo argentiano, contribuendo ad affossare una già flebile tensione.
Ruggero Deodato filma un lavoro atipico, specialmente rispetto alla sua produzione, facendo pensare più ad lavoro alimentare che altro, inutilmente diluito in novanta minuti di durata. L’unico elemento degno di nota è la musica di un Pino Donaggio scatenato grazie al pretesto della sceneggiatura, benché non ai suoi massimi livelli di ispirazione. Destinato al limbo del dimenticatoio.