TWILIGHT PORTRAIT – Angelina Nikonova
Difficile posizionarsi si fronte ad un film complesso ed ambiguo come Twilight Portraits, un film che ci spinge non solo verso una realtà, quella dell’attuale Russia, che per la sua mutabile e fragile natura ci disorienta, ma più in profondità, nella mente di una donna che si fa ricettacolo di questa stessa realtà che la filtra secondo una sensibilità personale mostruosa, grottesca, completamente aliena.
Marina, sublime protagonista di questo dramma, é il ritratto stesso del consumarsi dei valori e della forza un tempo imprescindibilmente legati alla società ed alla cultura russa. Angelina Nikonova, la regiasta, ci sbatte in faccia la bellezza glaciale della sua protagonista, bellezza dietro la quale pare non celarsi nient’altro se non noia e rassegnazione, così come niente più sembra esistere dietro un impero ormai in stato di decomposizione, un impero crepuscolare.
Sin dall’inizio ci rendiamo conto che l’apparente benessere nel quale vive Marina non é altro che una condizione eccezzionale nella ben più concreta realtà del mondo che la circonda, costellato da povertà, violenza ed anarchia sentimentale. Tutto ci spinge a dubitare dell’apparente calma che la circonda. In compagnia di chi si trova questa perfetta donna borghese all’inizio del film? Chi sono quei personaggi grotteschi che la attorniano? Una sorta di stanchezza avvolge tutto. L’accompagnatore di Marina, che scopriremo ben presto essere il suo amante, non é certo l’incarnazione della passione, al contrario i loro incontri amorosi stanchi e disinteressati non fanno che accentuare lo stato di noia nel quale si svolge la scena. La violenza e il degrado che all’inizio non sembrano esistere se non parallelamente a questo gruppuscolo di persone, a questi “nouveaux riches”, entra però ben presto , e brutalmente nella loro realtà dorata, deformandola, smascherandola.
Marina, di ritorno a casa dopo il fine settimana passato con l’amante, si ritrova in una situazione alquanto scomoda: uno dei suoi tacchi si rompe obbligandola a cercare rifugio in una locanda dai toni a dir poco folcloristici, gestita da una donna che manifesta un’ostilità immediata nei suoi confronti. Marina, nel frattempo costretta ad un banchetto ipercalorico composto di salsicce, crauti ed altre leccornie locali, non ha altra alternativa se non quella di andarsene senza che la proprietaria del locale la aiuti a trovare un taxi (impresa apparentemente tutt’altro che facile). A questo punto la nostra protagonista, che malgrado la situazione continua a manifestare lo stesso sangue freddo e l’impassibilità di sempre, cerca di fermare una macchina per chiedere un passaggio … idea che si rivela pessima e che si conclude con il furto della sua borsa.
Marina, al bordo della strada, in quel lembo di terra-territorio privilegiato di una categoria di donne bel lontana dalla sua, quella delle prostitute, senza scarpe, vulnerabile, chiede infine aiuto ad unna pattuglia di polizia che le passa accanto. Quelli che sembrano essere i suoi “salvatori” si rivelano invece in tutta la loro bestialità, scombussolando ogni logica di valori che riconosce naturalmente le forze dell’ordine come garanzia di protezione ed aiuto …
Ma in Twilight portrait niente é come ce lo aspettiamo, semplicemente perché nessuno dei valori che noi crediamo imprescindibili lo é realmente. In questa società al crepuscolo, le ombre e l’oscurità contano ben più della luce e della giustizia. Marina si trova in mare aperto, su una nave da guerra che ha ormai da tempo perso la sua bussola. Il suo angelo custode in uniforme si rivela essere il suo aguzzino, uno stupratore dalla voce roca che la abbandona in una foresta ai bordi della strada. Marina trova infine una persona caritevole che la riaccompagna a casa … la sua vita riprenderà in apparenza come prima, il suo compagno non saprà niente dell’accaduto. Una volta rindossati i vestiti della perfetta borghese agiata tutto riprende come prima: l’apparente tranquillità, le convenzioni sociali, la noia.
Questo in apparenza, perché Marina, da perfetta eroina di quello che potrebbe sembrare un “rape and revenge movie” cova ben altri sentimenti. Attenzione però, la rabbia ed il disgusto che la rodono non trovano come loro prima “vittima” il poliziotto stupratore, bensì il suo cerchio intimo di amici che, durante la festa a sorpresa organizzata per il suo compleanno, diventano malgrado loro i protagonisti di un dramma, il loro, quello di una classe sociale cieca ed ipocrita, troppo occupata a proteggere il proprio benessere, fino all’ipocrisia. Marina strappa la maschera di questa miserabile comitiva e mette i suoi presunti amici di fronte a loro stessi, alle loro debolezze ed alla loro meschinità. Da questo preciso momento in poi anche le ultime barriere di difesa della nostra eroina in tailleur cadono spingendola ad entrare in un gioco perverso le cui regole resteranno completamente misteriose.
Marina ripercorre, giorno dopo giorno, il tragitto che l’ha portata allo stupro fino ad a rintracciare il suo carnefice e a cominciare con lui una relazione davvero improbabile, malsana ma allo stesso tempo liberatrice, inspiegabile. Cosa cerca Marina? La vendetta? Ma come? Una vendetta contro chi? Il suo scopo non é quello di torturare o brutalizzare il suo stupratore, o perlomeno non nel modo che ci aspetteremmo. Forse la sua vendetta vuole essere quella di riuscire a fare accettare, a questo uomo così rozzo ed abituato ad ogni forma di violenza, l’esistenza della bellezza, dell’amore … ma a conti fatti Marina non sembra essere spinta verso la santità. Quindi? Forse la nostra protagonista vuole invece, per liberarsi da questo mostro che la divora, trasformare, dominare la violenza che attornia il suo carnefice e che lo plasma, al fine di comprendere e gestire questa realtà stessa, dargli un nome, annientarla. Oppure la sua é semplicemente una forma di masochismo, di sottomissione che la mette alla prova. Sarà capace di andare fino in fondo al suo progetto? Saprà mortificarsi a tal punto da non esistere più? E saprà infine tronare indietro?
Twilight Portrait, a differenza dei più classici “rape and revenge movies” non ci da una chiave di lettura chiara e liberatrice, al contrario crea nello spettatore uno stato di malessere e allo stesso tempo di sonnolenza. Viviamo le peregrinazioni di Marina in quello stato di dormiveglia che precede il sonno, senza sapere se quello che ci aspetta é il sogno o l’incubo, coscienti che lo scopriremo solo una volta che avremo chiuso gli occhi. La fantastica fotografia tutta ombre e chiaro oscuri, così come l’interpretazione di Olga Dykhovichnaya, coautrice della storia, fa sì che il film non perda mai, nemmeno nei momenti più brutali, questa sua aurea crepuscolare, rendendolo estremamente complesso ed ambiguo, una critica non solo della brutalità umana ma anche di questa perdita di valori, di profondità, che sembra corrodere tutta una parte della società russa attuale, verso un equilibrio che sembra molto, molto lontano.