TURBO KID – Anouk Whissell, François Simard, Yoann-Karl Whissell
L’iconografia e l’estetica degli anni ottanta, con le sue estremizzazioni Kitsch e i suoi colori sgargianti ha subito un revival esponenziale da metà anni duemila che continua fino ad oggi, tanto che tutti i media consapevoli di poter essere pop hanno iniziato a saccheggiarla senza pietà.
Tre anni fa due esperimenti differenti ma con basi piuttosto simili hanno sancito definitivamente, a giudicare dal loro – quasi – inaspettato successo, la nostalgica voglia di buttarsi a capofitto in mondi composti da luci al neon, synth aggressivi ed eroi semplici ma iconici; Ubisoft, con Far Cry 3: Blood Dragon per quanto riguarda il mondo videoludico e David Sandberg con Kung Fury, per quanto riguarda un fenomeno relativamente più recente come il cinema nato e distribuito sul web.
Turbo Kid, presentato al Sundance nel 2015, arriva proprio in questo periodo, strizzando l’occhio al web tramite crowdfunding e al medium videoludico con i suoi contenuti, promettendo tutto ciò che si potrebbe desiderare da un film di genere e aggiungendo addirittura la componente avventurosa del film per ragazzi. Il tutto laccato chiaramente con la classica patina (oramai un po’ fuori tempo massimo) da – per l’appunto – Sundance Festival. Le premesse erano comunque ottime e stuzzicanti per il prodotto d’appartenenza, ed è forse per questo che la delusione, una volta concluso il film, arriva ancora più amara.
Turbo Kid è un film bruttino, piuttosto anonimo nonostante il buon lavoro di caratterizzazione visiva di alcuni personaggi, che non riesce in alcun modo a emergere dal marasma degli “stylish film” a causa di alcuni gravi problemi che lo affliggono nelle fondamenta. Il primo è una sceneggiatura che non riesce a carburare in alcun modo, rimanendo stantia dal momento in cui parte, alla quale manca un arco evolutivo che riesca a catturare lo spettatore e che si limita a svolgere la sua funzione in modo pigro e svogliato. Di conseguenza i personaggi risultano piatti e poco interessanti anche per il genere d’appartenenza, eccezione fatta per il personaggio interpretato da Laurence Leboeuf, unica componente originale e scritta con un minimo di testa.
Tuttavia il punto più basso dell’intero pacchetto è la regia, che a causa del lavoro a sei mani (François Simard, Anouk Whissell, Yoann-Karl Whissell) finisce per essere la più anonima in circolazione da parecchio tempo, incapace di azzeccare i tempi e incompetente nella costruzione del pathos. Peccato per la bella musica di Jean-Philippe Bernier e Jean-Nicolas Leupi che pare essere l’unico lato positivo e gradevole del film, che riesce clamorosamente a fallire anche nell’estetica generale dell’operazione, soffrendo palesemente del suo budget irrisorio e lasciando ad immaginazione e pessimo compositing i luoghi in cui si svolge l’azione.
Se Turbo Kid fosse il film di diploma dei suoi autori sarebbe anche un lavoro competente per dei laureandi, simpatico ma dalla diffusione gratuita e usa e getta del web, tuttavia la pretesa di farne un lungometraggio tradizionale tradisce il suo risultato, che finisce invece per essere solo un discreto potenziale buttato via.
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