TULPA – Federico Zampaglione
Dopo appena un anno dall’uscita del deludentissimo Dracula 3D, Dario Argento, il Maestro dell’horror italiano, torna al passato e al giallo anni ’70 con un racconto che ricalca lo schema che fu, senza grossa originalità. Ah, no. Errore mio, occorre un passo indietro. Tulpa sembra proprio una produzione dell’ultimo Argento, ma la scheda tecnica dice che si tratta di un film di Federico Zampaglione (Nero Bifamiliare, Shadow). Attenendomi ad essa, riformulo.
Scritto da Dardano Sacchetti (maestro dell’horror e del poliziottesco a cavallo degli anni settanta ed ottanta) e diretto dall’ex leader dei Tiromancino, Tulpa racconta la doppia vita dell’avvenente Lisa Boeri (Claudia Gerini), business woman di giorno in un’importante azienda e prostituta di notte presso il Tulpa, night club esclusivo e dall’atmosfera mistica e suggestiva, gestito dall’inquetantissimo Kiran (Nuot Arquint, già boogeyman in Shadow).
Brutali uccisioni funestano le strade di Roma e si conquistano le prime pagine dei giornali. Lisa ne coglie il nesso: la “kill list” è composta interamente dai clienti che ha recentemente incontrato al Tulpa … la necessità di mantenere segreta la sua seconda vita costringe la donna a cavarsela da sola, mentre con Stefan (Ivan Franek), suo ultimo cliente, cerca di dipanare una sempre più intricata matassa.
Non ho mai supportato gli sperticati elogi al primo horror di Zampaglione: Shadow era un film presentabile (ed esportabile?), ma senza ispirazione. La buona accoglienza del film in giro per il mondo ha tuttavia innalzato le quotazioni del regista, stimolandolo a proseguire sulla strada dell’orrore. Il cappello introduttivo “argentiano”, però, era doverosamente e disgraziatamente prioritario in quanto Tulpa sembra l’incubo di un adolescente che ha mangiato una peperonata e, in seguito, visto alla tv qualche vecchia chicca del Dario nazionale. Il risultato è un tumulto gastrico che conduce ad un film confuso e tanto, troppo debitore: questo giallo insanguinato ci ricorda i bei vecchi tempi ma deve fare i conti con uno stridente anacronismo al limite della caricatura.
La signora Zampaglione dimostra poca confidenza con situazioni da brivido, restituendo malamente le battute cruciali; questo avviene soprattutto nel maldestro finale, scombinato al punto da strappare risate non richieste. Le mestissime domande si accatastano. Perché introdurre un risvolto spirituale ad una trama che più di base non si può? E che senso ha il finale alla Scooby Doo nell’anno domini duemilatredici? Ma soprattutto, che film hanno visto e (pare) applaudito le platee dei festival esteri, dove Tulpa è stato presentato in anteprima?
La striminzita consolazione è relegata a qualche scena clou che si appoggia a buoni effetti visivi ed al sempre magnetico Arquint, che inquieterebbe anche con un vestito da orsacchiotto gigante. Ma l’ancora di salvataggio di Tulpa, thrieller/horror privo di qualsivoglia tensione, è proprio deboluccia. E se c’è ancora qualcuno che punta le proprie fiches su Federico Zampaglione per il titolo di re-animator dell’horror di casa nostra, deve davvero amare l’azzardo.
Leggendo questa recensione mi ero fatto una brutta idea di questa pellicola di Zampaglioni. considerando pero’ che SHADOW mi era piaciuto non poco sono andata lo stesso e devo dire che ne sono rimasta piacevolmente colpita. Un bell omaggio al Giallo italiano vintage con grandi ed effereati omicidi. Trovo la recensione poco appropriata al film . Saluti
Linda