TUCKER AND DALE VS EVIL – Eli Craig
Un gruppo di ragazzi a bordo di un furgone si reca in campeggio in un luogo sperduto vicino al lago Morris. Imbattendosi in un paio di rozzi bifolchi locali dall’aria poco raccomandabile, questi arroganti figli di papà e belle cheerleader si avventurano in quello che sembra il cliché di ogni film horror anni ’80, buono o cattivo che fosse. Sembra.
Esiste una perpetua oscillazione tra periodi di grande creatività cinematografica e fasi stantie in cui lo spettatore avverte un senso di déjà vu; questo accade in ogni genere che si rispetti da che la pellicola cinematografica in celluloide è stata inventata, ma, per forza di cose, alla fine sbuca dal nulla qualcosa che riscrive le origini del canone e che ribalta i punti di vista. Tucker & Dale vs. Evil può contribuire a questa seconda fase, essendo, già dal titolo, una pellicola densa d’ironia, che evita il solito splatter/gore movie demenziale fatto solo perché l’horror ha smesso di far paura e allora tanto vale riderci su.
Presentato e applaudito al Sundance Festival del 2009, il film diretto da Eli Craig è un divertente gioco di inversione delle parti, un finto horror adolescenziale in cui quelli che sembrano essere i protagonisti pronti a finire nel tipico macello, giocano secondo le regole del classico horror, ma la realtà li beffa, spingendoli proprio in direzione di un destino inesorabile, la loro Samarcanda. Girato nei boschi che lo spettatore si aspetterebbe, in baracche arredate come la casa dei cannibali dementi di Texas Chainsaw Massacre (ed è, in generale, a tutta la saga di Non Aprite Quella Porta che si ispira Eli Craig), tutto il film è fatto della materia di cui sono fatti gli slasher movie e, di fatto, finisce per esserlo senza “volerlo”. Cominciando con una breve sequenza in 8 mm, il resto del film è un curioso preambolo, originale come raramente se ne vedono, in cui la violenza è casuale, involontaria, seppure segua ciecamente la trama intessuta dal fato, tra citazioni più o meno ovvie (che ci sia anche Fargo dei fratelli Cohen?).
Colmo di ironia, ma anche di una valanga di sangue e una spettacolare scia di cadaveri, è un film divertente che non prende in giro tanto il genere, quanto gli addetti ai lavori. Girando attorno ai cliché, infatti, non vuole solo rompere la monotonia del classico inseguimento del maniaco, del ragazzino sprovveduto e del cattivo animato solo dalla cieca violenza, ma anche deridere (e forse prevenire) i canovacci già scritti dei prossimi anni a venire. Non solo per appassionati.