TRUE STORY OF A WOMAN IN JAIL: CONTINUES – Kôyû Ohara
Mayumi è segregata in una cella d’isolamento. Sola, spaventata ma ancora capace di mantenere in vita il suo spirito battagliero. Al ritorno al Blocco 3 trova delle “novelline” della prigione, pronte per ricevere il battesimo del fuoco nella crudeltà, una sorta di rituale tramite cui scaricare l’odio e la vergogna accumulati … Mayumi interviene ed è l’inizio di una nuova lotta interna la Blocco.
Strana operazione questa diretta da Kôyû Ohara, in quanto True Story of a Woman in Jail: Continues non è un vero e proprio sequel de True Story of a Woman in Jail: Sex Hell (prodotto nel medesimo anno), quanto una sorta di reboot del precedente che dimentica gli eventi narrati, ma ne utilizza la medesima protagonista (Kozue Hitomi) e, specialmente, incrementa il numero di scene di nudo. Considerando la data di produzione (1975), pochi si scandalizzeranno nel notare come la delicata tematica dello stupro venga bene o male sempre astratta dalla sua crudeltà per essere in qualche modo “giustificata” da un certo piacere provato dalla donna.
Questi sono gli anni in cui il genere Pinku vede fiorire un numero elevato di prodotti dove, al contempo, lo stupore ed il dolore dell’atto sessuale forzato si mescolano ad un pizzico di fantasia recondita delle stuprate. Sensazioni partorite da una società, come quella giapponese, fortemente oppressa dal punto di vista sessuale per cui ancor di più operosa nel creare questi sotto-prodotti di largo consumo, dove l’umiliazione diviene chiave di volta e meccanismo di ritorsione contro gli “oppressori” (datore di lavoro o padrone di casa che sia).
True Story of a Woman in Jail: Continues non aggiunge nulla in questo senso, garantendo un numero elevato di nudi, luoghi claustrofobici e maleodoranti e sevizie di ogni tipo, con protagonisti più o meno abbozzati per cui è difficile parteggiare in positivo o negativo. Non imprescindibile.