Speciale: 3 ANNI DI CINEMA ITALIANO 2012/2010
Eccoci al primo speciale di Through the Black Hole, scaricabile in formato PDF, e dedicato al cinema italiano. Vi chiederete cosa c’entri il cinema italiano con la (dis)armonia tratteggiata nelle pagine della webzine: ebbene uno dei nostri leit-motiv è quello di far scoprire il cinema nascosto, sia nel senso di invisibile che poco visto … e il cinema prodotto nella nostra penisola vuoi per estrema esterofilia (non sempre ingiustificata), vuoi per invidia, vuoi per stupide faide, lo è.
Dialogando di persona o via web con diversi amici/conoscenti/sconosciuti mi son reso conto di come il disinteresse (estremamente diverso dall’ignoranza) verso il cinema nostrano dilagasse e, ripeto, non sempre senza alcuna motivazione. Ma come ignorare taluni film che raccontano uno spaccato italiano con un linguaggio filmico non scontato (Il Paese delle Spose Infelici, Habemus Papam, Cesare deve morire), esperimenti vitali e bizzarri (The museum of wonder, L’arrivo di Wang), commedie apparentemente banali ma capaci di sollevar la testa dalla mediocrità (Boris il Film, Happy Family), drammi vividi nel tempo (La nostra vita) o inenarrabili sforzi di uscire dall’underground (Ubaldo Terzani Horror Show, At the end of the day)? Per la natura insita in una webzine come Through the Black Hole, ignorare un pulsante ma non fiorente (né morente) sottobosco è peccato, per cui eccoci qui in questo doppio formato:
- PDF scaricabile (con tanto di impaginazione per stampa e recensioni collegate):
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- Articolo leggibile d’un fiato sul web (con recensioni da cercare sul sito)
Per cui armatevi di pazienza e decidete il formato preferito (consiglio il PDF, fosse solo per il variare), anche perché se avete letto questa sbrodolata, nulla vi sembreranno le pagine seguenti! Buona lettura, buone critiche e … (spero) buon recupero titoli.
Non è semplice racchiudere in una manciata di parole quello che il cinema italiano degli ultimi anni è riuscito a produrre, sia nel senso più cinematografico del termine sia nel senso qualitativo/emozionale, ma proprio questa considerazione trascina con sé un primo aggettivo che fluttua nell’aria e si materializza sulla linea temporale, aiutando a creare una prima istantanea sul recente passato: incostante. Il cinema italiano risulta eccessivamente incostante non solo negli anni, ma nel corso dello stesso anno. Consideriamo, per esempio, uno spettatore che si reca al cinema 2 volte al mese, per un totale di 24 volte l’anno e, considerando dell’invasione media dei blockbuster e la distribuzione degli stessi nelle piccole sale, immaginiamo che di queste, 5 volte veda film italiani. Proiettiamoci nel 2011 e tracciamo tre scenari, il primo e ultimo limite, il secondo come congiuntura astrale semi-casuale:
1) lo spettatore che non legge recensioni in anteprima su varie magazine/webzine, perché non vuole rovinarsi sorpresa o perché odia profondamente i critici o semplicemente perché non è abituato, e che non vede un solo genere, si imbatte in: Box Office 3D, La Peggior Settimana della Mia Vita, Parking Lot, Vacanze di Natale a Cortina, Manuale d’Amore 3
2) lo spettatore che non legge assiduamente recensioni in anteprima su varie magazine/webzine per i più svariati motivi, e che predilige un paio di generi escludendo a priori altri, si ritrova davanti: Bar Sport, Habemus Papam, Terraferma, This Must be the Place, L’arrivo di Wang
2) lo spettatore che consulta sempre 2/3 recensioni in anteprima su varie magazine/webzine per cultura personale, per non buttare soldi al cinema, perché adora le letture sul water, si organizza per vedere: Boris il Film, This Must be the Place, Il Paese delle Spose Infelici, Il Villaggio di Cartone, Habemus Papam
Come si può facilmente immaginare lo spettatore 1, a meno di una passione smodata per il pecoreccio che non è trash e per il banale (e non vi è nulla di offensivo in tutto ciò, sono gusti … a volte barbari), avrà raccolto un’impressione infima delle produzioni italiane, probabilmente boicottando altri meritevoli lavori. Lo spettatore 2 avrà visto film interessanti, altri meno, per cui probabilmente avrà la curiosità di recuperarne ulteriori (magari facendo qualche piccola ricerca sul web) direttamente in dvd. Lo spettatore 3, invece, sarà inebriato dal cinema italiano, consigliando i titoli che ha visto ad amici che si recheranno al cinema (magari il mercoledì pagando meno), e avrà la curiosità di spulciare altri titoli dal sufficiente esito in pagella. Naturalmente si tratta di situazioni di massima, ma che non si allontanano troppo dalla realtà seguendo le dinamiche sociali attuali, capaci di tracciare una prima linea.
Una seconda linea, profondamente legata alla prima se fate caso alle date, è tracciata dal profilo dello spettatore italiano, che inquadra ben 5 film italiani tra i primi 10 dai maggiori incassi di sempre in Italia. Film, però, accasati tutti sotto la medesima bandiera, quella della comicità. Si aggiunge quindi un altro tassello che, volenti o nolenti, determina strategie produttive e di marketing capaci di influenzare decenni (e oltre), spegnendo, o almeno affievolendo, lo spirito imprenditoriale che porta una compagnia a investire del denaro su una produzione della tipologia comica a scapito di un’altra. Guardando poi chi si cela dietro certi titoli, comici di Zelig o, comunque, personaggi già noti tramite la televisione, si marchia a fuoco la seconda label: aficionabitudinari. E concedetemi la sorta di neologismo degli accostamenti brutto ma in qualche modo indicativo. Spulciando tra gli incassi al box office italiano, infatti, si trova: al terzo posto (dietro Avatar e Titanic) Che bella giornata con Checco Zalone del 2011 (comico di esploso grazie a Zelig, appunto), Benvenuti al Sud del 2010 con Claudio Bisio al sesto posto (presentatore di Zelig), Chiedimi se sono felice con Aldo, Giovanni e Giacomo del 2000 (citiamo solo Mai dire gol, ma comunque comici provenienti dalla tv) al nono posto, seguito a ruota da Natale sul Nilo (altra commedia con personaggi stavolta più noti per il cinema ma che non disdegnano affatto la televisione) del 2002, diretto da Neri Parenti, e così via. Segnaliamo, inoltre, che tra il diciottesimo e il trentesimo posto vi sono ben altri 5 cinepanettoni diretti da Neri Parenti (nell’0rdine: Natale a Rio, Natale a New York, Natale in crociera, Natale a Miami, Natale a Beverly Hills), con incassi notevoli.
Naturalmente quest’ultimo punto trascina direttamente a cavallo una conseguenza: la distribuzione obbligata. Senza entrare nel dettaglio degli accordi sibillini o di giri di vite, che occuperebbero più di un capitolo a parte, la semplice e comprensibile via (per)seguita è quella di mettere in cartellone ciò che il pubblico vuole (?) vedere. Basta soffermarsi non più di un secondo per comprendere come tutto questo porti ad un contorto avviluppamento, una sorta di cane che si morde la coda, in quanto se il pubblico non conosce altro genere o, banalmente, non si trova a saper cosa fare il sabato sera e si ritrova in una sala cinematografica a vedere il misconosciuto Il Paese delle Spose Infelici (per citarne uno), al posto dell’ultimo Pieraccioni (anch’esso preso a caso dal mucchio), può darsi che possa accendere la lampadina della curiosità. Tuttavia il gestore delle sale, specialmente in caso di sala singola, deve sopravvivere per cui come biasimarlo? Resta la chimera del multisala, vera e propria arma a doppio taglio dato che è noto come non tutte le sale siano attrezzate egualmente per cui quando si segue col dito sul giornale l’elenco dei film alla ricerca di quello semi-indie che non si spera più di tanto di trovare, lo si trova, ci si reca al multisala, si inizia a storcere il naso quando si legge “Sala 4″, inizia la disperazione quando si scopre che lo schermo non è così grande, l’audio non propriamente supportato da un comparto casse decente, per andare a sbafarsi i pop-corn occorre fare 3 rampe di scale (perdendo immancabilmente i primi minuti del secondo tempo), l’aria condizionata è regolata come nelle altre sale più grandi quindi si muore di freddo anche il 15 Agosto e ci si rende conto, però, di aver sborsato esattamente il medesimo ammontare delle altre sale decisamente più attrezzate … beh … allora ci si chiede: chi me lo fa fare? Perché non aspettare relativamente poco per acquistare il dvd o peggio, scaricare il film (e non siamo ipocriti per favore)? Alla cifra di circa 8€, senza mettere in mezzo la baracconata del 3D, in una sala dove in qualche modo si soffre, che nessuno venga a parlarmi di magia del cinema. Poteva essere comprensibile anni e anni fa, come quando (cito esperienza personale) ci si ritrovava a vedere Hannibal di Ridley Scott in una sala siciliana, non troppo tempo dopo il divieto assoluto di fumare nei luoghi pubblici, con sala strapiena, posto a sedere semicoperto da una colonna portante (avete letto bene … ) e spettatori che in massa se ne fregavano dei divieti fumando … si pagava in lire e non era una cifra eccessiva nemmeno rapportando il totale ad oggi. Altri tempi, altre tecnologie, altra mentalità.
Quanto raccolto sinora vuole rappresentare uno spunto di riflessione e una miccia accesa, le valutazioni da accatastare nella matassa sarebbero di carattere sociale (il fatto stesso che la commedia sia il genere prediletto non è solo sinonimo di semplicità umana, ma assume anche un senso di valvola di sfogo, come di pausa relax o come spunto di riflessione leggero, ma non per questo meno pregno di significato), politico (nominiamo Medusa e si potrebbe aprire un capitolo a parte, in positivo come in negativo) e, specialmente, storico … non solo cinematograficamente parlando (pensiamo al perché si sviluppò ed esplose la grande commedia italiana della metà degli anni ’50 e come gli effetti si sono propagati sino ad oggi, pensiamo a Tarantino e al rilancio del trash all’italiana, ma anche alla crisi economica del 2008 e il conseguente clima di sfiducia, al finto populismo, alle menzogne o alle bagarre figlie del Grande Fratello incomprensibile nel definirsi causa o effetto di un disagio giovanile e così via … ).
Tornando all’operazione a cuore scoperto, abbiamo trovato tre spotlight: incostanza, abitudinarietà, cattiva distribuzione.
2012
Al momento in cui vengono tracciate queste righe, l’eco (italiano) più tonante proveniente dai cinema inneggia il nome di Diaz, il film di Daniele Vicari che volente o nolente (opterei per la prima ipotesi) sta emergendo tra interviste sui giornali e comparsate in televisione. Un tema forte come quello della guerriglia al G8 di Genova, con 93 arrestati e 87 feriti all’interno della scuola in una notte, un colpo talmente tanto forte da non essersi spento nemmeno oggi, non poteva che ricevere più che discreti feedback nei cinema, ponendosi immediatamente come baluardo per una certa parte politica “underground”. Fenomeno che cammina a braccetto con ACAB (All cops are bastard), film gemello di Stefano Sollima, non perché uguale ma in quanto portavoce di un certo modo di vedere in prospettiva comune. Sorretto da un ottimo cast tra cui spiccano Pierfrancesco Favino, Filippo Nigro e Marco Giallini, il film può essere eletto formalmente come uno dei migliori film italiani dell’ultimo decennio, girato con grande personalità, condito da un’ottima fotografia e un’azzeccatissima colonna sonora. ACAB riesce anche a stupire per il contenuto, non risultando mai di parte ma, anzi, scattando una fotografia imparziale della realtà narrata. Marco Tullio Giordana si confronta con fatti di cronaca italiana di notevole impatto sociale (e politico) grazie a Romanzo di una strage, film ottimamente sagomato e significativo, ma che forse si perde proprio dietro una perfezione formale che vincola il messaggio ad un formato filmico a cui un senso di “sporcizia” avrebbe donato una marcia in più.
Le commedie vedono esplodere due sequel: Benvenuti al Nord di Luca Miniero e Immaturi il viaggio di Paolo Genovese. Il film di Miniero risulta piatto, quasi copia carbone del primo episodio, forzato e piuttosto inutile, con la solita tendenza a rafforzare stereotipi che vivono nell’immaginario italico. Involontariamente surreale, segno di un Italia che (non) esiste. Quello di Genovese sembra navigare nelle medesime acque, con spunti interessanti, soluzioni molto divertenti (il “figlio” di Piero su tutte) ma anche tante, troppe, banalità e cadute di stile, con picchi negativi (l’arrivo all’isola di Zingaretti) capaci di affossarlo e una pochezza di fondo impossibile da non constatare. Altra commedia è Posti in piedi in paradiso di Carlo Verdone, che non può che confermare come i grandi film di Verdone sono ormai solo un ricordo. Tuttavia Posti in piedi in paradisoriesce a raccontare in modo intelligente e per certe situazioni divertente la situazione italiana, meritando una visione, seppur registicamente troppo poco attuale. Com’è Bello Far l’Amore di Fausto Brizzi tende a nascondere il vuoto di fondo con un taglio sociale in realtà funzionale solo come collante tra una gag e l’altra.
Riguardo il panorama horror, invece, si sono riaffacciati sul mercato i Manetti Bros con Paura 3D, che esalta un percorso stilistico fin dagli esordi in totale controtendenza rispetto alle abitudini del cinema mainstream nostrano, con una proposta dal sapore vivamente indipendente senza, però, voler sfondare porte troppo chiuse (per non dire blindate) del (e sul) cinema di genere italiano. Dylan Dog – La Morte Puttana è un indipendente, diretto da Denis Frison, tutt’oggi in cerca di distribuzione, quella che non avrebbe meritato il pastrocchio americano basato sulle avventure dell’indagatore dell’incubo.
Vera e propria sorpresa dell’anno, invece, l’indipendente Cesare deve Morire di Paolo e Vittorio Taviani, vera e propria opera d’arte visivamente potentissima, sorretta su una struttura d’acciaio. Uno dei migliori film italiano degli ultimi anni, vincitore dell’Orso d’Oro 2012.
2011
Annata interessante che ha visto venire alla luce buoni titoli di diversi generi, debole solo per il versante strettamente indipendente vessato troppi pochi riscontri (qualcuno ha detto distribuzione?) e, forse, meno voglia dettata anche dal (de)corso socio-politico italiano. Partiamo proprio dalla commedia citando solo nominalmente deboli film come Almeno tu nell’universo, Ex – Amici come prima!, I soliti idioti, Matrimonio a Parigi, Amici miei – come tutto ebbe inizio, Finalmente la felicità o Manuale d’Amore 3 e altri più dignitosi, ma comunque non sfavillanti, come Mozzarella stories, Qualunquemente, Tutta colpa della musica o Nessuno mi può giudicare e poggiando subito nel dimenticatoio Neri Parenti con il suo Vacanze di Natale a Cortina, serie che rimane stilisticamente ancorata agli anni ’80 con l’aggravante che i suoi interpreti sono invecchiati e la risata si fa sempre più fiacca. Muovendosi secondo la logica del crescendo, La Peggior Settimana della Mia Vita di Alessandro Genovesi diventa emblema di un bizzarro fenomeno: quello che vede gli italiani tentare di copiare commedie americane con un unico risultato, quello di risultare piatti, noiosi e stupidi. Femmine Contro Maschi di Fausto Brizzi affossa quanto di buono era stato fatto nel capostipite del 2010, macchiettizzando e appiattendo ulteriormente i personaggi, lasciando perplessi per quanto riguarda il messaggio conservatore di fondo e poi, visto il titolo, dove sarebbe lo scontro? Con una significativa operazione di marketing alle spalle, ecco tornare al cinema Ezio Greggio con il tremendo Box Office 3D – Il Film dei Film. Se da un lato l’idea della costruzione narrativa “a trailer” può risultare divertente, dall’altro le gag, come i tempi comici, sono pessimi … e dopo 10 minuti si implora pietà.
Di tutt’altra risma, anche se ai limiti della sufficienza, Bar sport di Massimo Martelli che affronta la difficoltà di manipolare e tramutare in immagini il tono grottesco e surreale del libro di Stefano Benni (per alcuni sopravvalutato) da cui è tratto. Il film gli rende in parte giustizia ma cozza contro schematismi e artificiosità di sceneggiatura che alla fine del lavoro gravano sullo spettatore, immancabilmente lasciato con un certo senso di amaro in bocca. Via di mezzo (almeno secondo le intenzioni) tra commedia leggera e film d’autore è, invece, Cose dell’Altro Mondo di Francesco Patierno, che muove un non troppo convinto né convincente Diego Abatantuono tra aziende del veneto portate avanti da extracomunitari. Al di là delle opinioni socio-politiche, il lavoro risulta eccessivamente didascalico e con uno sguardo non basato sulle condizioni reali italiane quanto su un esagerato buonismo. Il primo balzo in avanti si ha con Immaturi di Paolo Genovese, dove viene richiamato a gran voce un dogma indicato inizialmente (aficionabitudinarietà) dato il cast composto in gran parte da volti della televisione, da Ambra Angiolini a Luca Bizzarri passando per Raoul Bova e Ricky Memphis. Si tratta palesemente di un irreale divertissement fine a se stesso ma, al contempo, la pellicola di Genovese è capace di regalare un’ora e mezza piacevole e distensiva, scevra da tonfi imbarazzanti o eccessive pappette psico-pedagogiche italiane. Ultimo e migliore del genere, diversi passi in avanti rispetto al precedente, è Boris il Film diretto a sei mani da Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre e Luca Vendruscolo, meraviglioso affresco del cinema nostrano, divertente, pieno di gag e recitato benissimo. Questo piccolo capolavoro rende giustizia alla fantastica serie da cui è tratto, risultando scintillante anche per chi non ha seguito la serie originale.
Dalle parti dell’oscurità, dove dimorano pellicole thriller, horror e noir spicca l’esordio internazionale di Luca Boni e Marco Ristori, supportati da Uwe Boll, con Eaters, buono zombie-movie nostrano che si trascina dietro tutti i pregi (dinamicità, ironia) e i difetti (dizione, recitazione) tipici della produzione italiana. Sicuramente un lodevole e meritato balzo in avanti per il duo, da anni attivi nell’underground e adesso pronti a farsi conoscere nel mondo. Toccando lo sgangherato, divertente, sconcertante ma noioso I love you like a twist di Lorenzo Lepori, un frullato misto di un po’ di tutto in stile Troma, e passando rapidamente oltre l’insufficiente Parking Lot di Francesco Gasperoni e l’anonimo e pretenzioso Sotto il Vestito Niente – L’Ultima Sfilata di Carlo Vanzina, arriviamo a Native, diretto da Giovanni Marzagalli (in arte John Real), film che registicamente riesce, narrativamente meno … ma il regista italiano (malgrado lo pseudonimo anglofono) è di quelli da tenere d’occhio. Con Unfacebook il regista Stefano Simone realizza un film decisamente più d’intrattenimento rispetto al predecessore, una prova del potere creativo del giovane autore che, supportato dal comune di Manfredonia e dimostrando un cosciente uso delle tecniche registiche, riesce a confezionare un lungometraggio godibile, pur se non privo di alcuni difetti, riscontrabili maggiormente a livello fotografico e di sceneggiatura. Ancora dal mondo indipendente spunta The Hounds, diretto da Roberto Del Piccolo e Maurizio Del Piccolo, buona prova per i cugini che si cimentano con una produzione d’oltralpe. C’è molto da limare ma come primo passo non va affatto male, sicuramente lodevole l’impegno. L’underground partorisce anche il discusso, nel bene e nel male, Morituris, diretto da Raffaele Picchio che, ad una sceneggiatura cruda, affianca una regia che non ha paura di mostrare, che sfida lo sguardo dello spettatore, coadiuvato dagli effetti speciali di Sergio Stivaletti.
Il senso di freddo realismo viene calato all’interno di un’identità tradizionale tipicamente italiana, e avvolto nella ammalianti scenografie, per una delle più gradite sorprese del 2011. Buon lavoro anche quello fatto dal pittore Luis Nero con Rasputin, artista poliedrico che utilizza l’espediente cinematografico per “dipingere” su pellicola. A chi osserva i suoi film è richiesta la stessa pazienza che si richiede a chi, dinanzi un quadro, attende il tempo necessario per permettere ai sensi di compiere la propria ricerca. Questa è al contempo forza e limite delle opere di Nero che non racconta storie allontanando la possibilità di esprimere giudizi che non siano prettamente soggettivi. Su un piano leggermente diverso rispetto agli ultimi due, si trovano 108.1 FM Radio di Angelo e Giuseppe Capasso, omaggio al classico The Hitcher ben riuscito ma che, pur se tecnicamente ben realizzato, resta comunque un esercizio di stile, Fantasmi – Italian Ghost Stories film a episodi in parte riuscito, voluto da Gabriele Albanesi e diretto a più mani (da Andrea Gagliardi, Roberto Palma, Stefano Prolli, Tommaso Agnese, Omar Protani, Marco Farina e Nicola Lazzerotti) e Il Marito Perfetto di Lucas Pavetto che passa all’alta definizione e prova a realizzare un mediometraggio no-budget. Il risultato, considerando specialmente l’inventiva, è più modesto rispetto a Il lercio ma riesce a regalare un buon ritmo e una dosa di entertainment da non sottovalutare. Trattandosi di no-budget decisamente ci si accontenta.
Sembra strano numerare così poche pellicole di fantascienza affermando che è stata un’ottima annata, ma tant’è che il genere in Italia non lo produce più nessuno, vuoi per i costi (i tempi di Antonio Margheriti sono ben che lontani) vuoi per mancanza di idee originali. In questo cielo grigio (chi si ricorda l’avventura grafica Beneath a steel sky?) trovare ben 3 film del genere non è per nulla deprecabile. Ecco, quindi, comparire il migliore dei tre, L’arrivo di Wang dei Manetti Bros, una sorta di sci-fi sociale dai rimandi tematici a District 9, anche per una buona dose di ironia, assolutamente non derivativo ma anzi supportato da un trademark italiano che lo distanzia da pellicole similari. Considerato il budget contenuto, anche gli effetti speciali non si discutono. L’Ultimo Terrestre di Gianni Pacinotti, si inalbera su tematiche dal sicuro fascino, celate dietro la forma fantascientifica, ma non riesce a diramare fino in fondo le radici a causa di scelte scontate che portano lo portano verso una sorta di politically correct. Ultimo, e decisamente più difficile da mandar giù, 6 giorni sulla terra di Varo Venturi, film che basa l’intera sceneggiatura sullo studio del professor Corrado Malanga, secondo cui gli alieni hanno intenzione di dominare il mondo sottraendo il cervello agli esseri umani. Partendo da questa teoria, la pellicola di Venturi è un’estenuante ricerca di sostegno alla cospirazione … appetibile quasi soltanto agli ufologi.
Chiudiamo l’annata con il cinema d’autore, quello che maggiormente ha colpito nel segno. Partendo dall’anomalo Scialla!, che non mi sono sentito di inserire tra le commedie anche se in parte lo è, sorpresa dell’anno nel senso che le aspettative riposte nel film di Francesco Bruni erano praticamente nulle, invece il regista riesce a trovare il corretto amalgama proprio tra commedia sociale e cinema d’autore partorendo un lavoro piacevole per quasi tutta la sua durata. Viceversa, delusione dell’anno si è rivelato Terraferma di Emanuele Crialese, specialmente considerando quanto a fatto discutere in televisione (che come si sa non è il miglior salotto disponibile ma è il più seguito dagli italiani), in quanto con una tematica così scottante, il punto di vista si rivela essere eccessivamente flebile di spunti, sufficienti appena come articolo di Famiglia Cristiana. Bello tecnicamente, povero contenutisticamente. Un buon noir d’autore s’è rivelato Ruggine di Daniele Gaglianone, capace di costruire un dramma dalle tinte color ruggine (appunto), sofferente in alcuni punti per la banalità della sceneggiatura, vincente in altri momenti di impatto. Gigantesco passo in avanti lo compiamo con This must be the place di Paolo Sorrentino; anche se non tutti hanno apprezzato il ritmo lento e i contenuti (apparentemente) poco incisivi, il film si è rivelato un bell’omaggio agli Stati Uniti, visivamente immenso e ottimamente interpretato e, in primis, perfetto nell’immergere lo spettatore in un mood malinconico e amaramente ironico. Poco più indietro lo segue il criticato (a priori) Habemus Papam, dove un Nanni Moretti delicato rappresenta il lato della commedia, lo straordinario Michel Piccoli quello del dramma. Il risultato è ottimo cinema d’autore italiano. Il gran finale spetta a Pippo Mezzapesa con Il Paese delle Spose Infelici, costruito sull’anima di una terra (quella pugliese) ricca di sentimenti controversi e, apparentemente, antitetici. Un lato esposto di questa landa descritta tramite gli occhi di chi ci è nato e si ritrova, adesso, a dover prendere delle decisioni. Considerando il suo essere primo lungometraggio prodotto, considerando il precedente lavoro come mediometraggio indipendente, Mezzapesa sigla un capolavoro.
2010
Affermiamo subito che, rispetto al 2011, non vi sono state pellicole eclatanti pur se si ha avuto la sensazione di veder circolare un numero maggiore di pellicole. Più che di mediocrità occorre parlare di retrogusto anonimo che permea una sfilza di pellicole nemmeno brutte ma che, non appena viste, scivolano via sulla pelle troppo rapidamente, senza lasciare alcuna traccia nella memoria. 20 sigarette, Febbre da fieno, Gli sfiorati o Il padre e lo straniero sono degli esempi lampanti, mentre a tutt’altra categoria (da evitare) appartengono Un altro mondo di Silvio Muccino, Ti presento un amico di Carlo Vanzina o il tremendo Scusa ma ti voglio sposare di Federico Moccia. Naturalmente non scappa alla lista Natale in Sudafrica di Neri Parenti, in cerca di riscatto dopo il tonfo, relativamente parlando, del capitolo precedente (o cine-panettone precedente che dir si voglia). De Laurentiis striglia il baraccone che risponde con un tasso più elevato di ironia sessuale, ma con quali risultati? Assistere ancora una volta ad uno stanco canovaccio che si ripete almeno da un decennio senza ormai nemmeno lo sforzo di una benché minima variazione a meno della location. Dispiace, invece, accostare a questi titoli anche il buon Carlo Verdone che con Io, loro e Lara confeziona uno dei suoi peggiori film, pieno di buonismo e contenutisticamente piatto e La Banda dei Babbi Natale di Paolo Genovese, in linea con gli ultimi film del trio Aldo, Giovanni e Giacomo: televisivo, poco divertente, inutile. Non meritano sorte molto migliore Baciami ancora di Gabriele Muccino e La Prima Cosa Bella di Paolo Virzì. Se il primo è una stanca riproposizione del capostipite, orfano di Martina Stella (ma è un male?), incapace di donare emozioni se non sterili, il secondo lascia perplessi su come abbia potuto fare il botto di critica e pubblico, dato il suo carattere poco incisivo, una piattezza di fondo stordente e, sostanzialmente, non contenente nulla di nuovo da raccontare.
Un timido passo in avanti viene fatto con un altro set di film dai contorni interessanti, dalle potenzialità presenti … ma inesplose. Diciottanni – Il mondo ai miei piedi di Elisabetta Rocchetti resta comodamente in superficie senza scavare la tematica della caduta del muro delle illusioni, costruendo un mondo intorno all’ottimo cast dove lo spettatore, però, non può osservare le fondamenta. La pecora nera di Ascanio Celestini è un lavoro atipico, ma una volta entrati nella psicologia dei personaggi risulta godibile e discretamente interessante, così come I baci mai dati di Roberta Torre, stranamente non immediato o banale come potrebbe sembrare in alcuni frangenti. Se con Il Gioiellino Andrea Molaioli utilizza l’economia come strumento di denuncia sociale tramite il volto impassibile dell’eccellente Toni Servillo, Claudio Cupellini poggia il proprio film, Una vita tranquilla, sul medesimo attore, mescolando ironia a dramma e descrivendo un altro spaccato di Italia. Questo sottoparagrafo “da bocciato alla sufficienza” lo chiudiamo passando al genere thriller/horror che ha visto, innanzitutto, comparire (quasi) dal nulla Bloodline, film di genere con tutti i suoi pregi e i suoi difetti, da vedere senza pretese, di Edo Tagliavini. Torna anche Enzo Castellari con l’indefinibile Caribbean Basterds che tenta di sfruttare la scia tracciata da Quentin Tarantino con Inglorious Basterds, omaggio al suo Quel maledetto treno blindato, buttandoci dentro anche sapori da Arancia Meccanica e frullando malamente il tutto. L’Erede di Michael Zampino latita sotto troppi fronti per poter avere riscontri forti in Italia mentre Demon’s Twilight di Federico Lagna delude per uno sviluppo noioso e un cast troppo fuori parte.
Salendo di livello, ma restando su una media voto scolastico tra il 6 e il 7, e remando tra diversi generi, troviamo Cosimo Alemà con lo At the end of the day, slasher bruciato dal sole e da una trama esile esile, ma d’altronde … chi ha mai detto che gli slasher devono sorreggersi sul plot e non sul bodycount? Promosso. Una Vita nel Mistero di Stefano Simone, è un film indie diretto da un giovanissimo autore nostrano molto attivo nel panorama, che possiede tutti i pro (soggetto interessante, buone musiche, … ) e contro (eccessivo minutaggio, attori non tutti e non sempre all’altezza, … ) del cinema (very) low-budget ma che merita supporto. Gianni e le Donne presenta un canovaccio interessante, ben orchestrato da Gianni Di Gregorio, ma mancante di quel quid posseduto dalla sua opera precedente mentre era lecito aspettarsi di più. Basilicata Coast to Coast di (e con) Rocco Papaleo, disegna sotto il sole del meridione una commedia rilassante, con picchi di divertimento e altri di anonimato, riuscendo comunque a centrare l’obiettivo. Tornando all’horror e all’indipendente puro, non possiamo che citare i riusciti Ubaldo Terzani Horror Show di Gabriele Albanesi e The Museum of Wonders del prolifico Domiziano Cristopharo. Con il primo, Albanesi ci riprova, qualche idea è sicuramente interessante, l’attore protagonista a suo agio nella parte, ma la sceneggiatura latita e la poca cura fotografica non aiuta, anche se il risultato finale risulta essere godibilissimo. Con il secondo, Cristopharo non si accosta ad un genere, ma mescola influenze diverse con uno stile che trasuda passione teatrale anche se si vede come il regista non abbia trovato ancora un proprio involucro dove contenere la forma del suo pensiero. Una lode ad Albanesi e Cristopharo per la forza di volontà nel continuare a provare a risollevare il cinema (non solo di genere) in Italia.
Variando i generi, non da meno sono La Sindrome di Gerber di Maxi Dejoie, interessante mockumentary per nulla banale, ma anzi ricco di spunti interessanti capaci di spingere verso l’alto la colonnina indicatrice di tensione, La Solitudine dei Numeri Primi di Saverio Costanzo, horror “sentimentale” dallo stile argentiano, meritevole di più visioni, Mine Vaganti di Ferzan Ozpetek, supportato da una grande fotografia e da personaggi non banali, che conferma come Ozpetek sia vera mina vagante del nostro cinema, Una Sconfinata Giovinezza di Pupi Avati, dove interessanti atmosfere sperdute nella campagna emiliano-romagnola tracciano un film malinconico al punto giusto ma con un sapore di incompiuto alle spalle. Splice di Vincenzo Natali, invece, confeziona un interessante sci-fi movie che richiama certe atmosfere di genere andate perse con gli anni, non un capolavoro ma promosso senza riserve e, per chiudere questa parte Maschi Contro Femmine di Fausto Brizzi, gradevole film basato su amori e tradimenti capace di regalare sorrisi e spunti interessanti.
Prima di innalzarci ancora, inseriamo in una sorta di purgatorio due film: Vallanzasca – Gli Angeli del Male e Winx Club 3D – Magica Avventura. Il lavoro di Michele Placido, si trova nel limbo perché è sì ironico nell’umore e dinamico nella regia, ma è giusto per fini di entertainment far passare per un simpatico mattacchione un folle omicida? Il cartone animato di Iginio Straffi deve essere citato in quanto il regista è stato portavoce di personaggi dal gran successo europeo e non solo, e spesso si dimentica che l’autore è italiano. Ingiudicabile in queste pagine, ma da far conoscere.
Prima della pole-position piazziamo Genitori & Figli: Istruzioni per l’Uso di Giovanni Veronesi, apparentemente scontatissimo e infarcito di situazioni pecorecce (da depredare una volta per tutte) ma, invece, ligio ad una morale leggermente politically uncorrect veramente inaspettata che ne risolleva le sorti, rendendolo un film da (ri)scoprire nonostante le solite falle di sceneggiatura e lungaggini all’italiana. Vera e propria sorpresa, nel senso di stupore rispetto ai preconcetti personali, dell’anno. Il caso del 2010, specialmente a livello di incassi, è Benvenuti al Sud, buon rifacimento all’italiana di Luca Miniero, con un Claudio Bisio scatenato. Basato su battute e situazioni che ruotano attorno a luoghi comuni, ha riscontrato un grande successo nonostante la grossa disparità tra (ottimo) primo e (pessimo) secondo tempo. Un altro film che ha fatto discutere nel bene e nel male è Happy Family di Gabriele Salvatores, sicuramente pretestuoso nella scelta dei “personaggi in cerca d’autore” (o autore in cerca di personaggi) ma ben congegnato sia a livello di sceneggiatura che di montaggio. Inutile cercare di spiegare il perché del film, proprio nel momento in cui ci si accosta, automaticamente si viene risucchiati o sputati via, in base alle sensazioni che possono diventare contrastanti, per esempio la leggerezza durante la visione può tranquillamente mutare in irritazione. Un Salvatores gigione, ma va benissimo così. Noi Credevamo di Mario Martone, invece, è un film che poteva suscitare un altro impatto, che si perde in una eccessiva durata anche se ottimamente costruito storicamente e tecnicamente, ma sempre pesante come un macigno da vedere tutto d’un fiato. Chiudiamo il 2010 con La Nostra Vita di Daniele Luchetti, opera drammatica di notevole impatto che, nonostante qualche piccola caduta di sceneggiatura, si regge su un cast eccellente (incredibilmente bravo anche Raoul Bova) e su buone intuizioni di regia. Anche se si fiuta come tutto sia ben architettato per incastrarsi nell’animo dello spettatore, muovendo le leve giuste al momento giusto, il film interpretato da uno strepitoso Elio Germano riesce dove molti altri falliscono, rendendo credibile una storia triste, venata da momenti di amara ironia che, se da un lato lasciano pensare e mettono il magone, dall’altro trasmettono un senso di pace interiore.