TIDELAND – Terry Gilliam
La piccola Jeliza-Rose trascorre le giornate preparando la siringa per il padre tossicodipendente e massaggiando le gambe alla madre ghiotta di cioccolato, oltreché eroinomane. Quando la donna muore a causa di un’overdose di metadone, Jeliza-Rose intraprende un viaggio col padre Noah alla ricerca della madre di lui.
Una casa diroccata e sperduta in mezzo alla campagna risulta essere la meta del loro girovagare ma una dose di eroina sarà fatale anche per Noah, lasciando così la bambina abbandonata a se stessa. Oltre alle amiche immaginarie (delle teste di bambole), Jeliza-Rose conosce delle strambe figure: Dell, una donna con un occhio solo terrorizzata dalle api, e suo fratello Dickens, convinto di essere capitano di un sottomarino. Accompagnata da questi personaggi Jeliza-Rose lascia scivolare via le giornate immersa nel limbo tra sogno e realtà.
Ecco tornare dietro la macchina da presa Terry Gilliam dopo il disastroso I fratelli Grimm e l’incantevole strega, film realizzato probabilmente per il solo tornaconto personale. Nuovamente ci si trova di fronte un adattamento da un romanzo (dopo le già citate fiabe dei fratelli Grimm, Thompson per Paura e delirio a Las Vegas e Orwell per Brazil), stavolta è il turno di Tideland scritto da Cullin Mitch nonché delle onnipresenti citazioni di Carrol col suo seminale Alice nel paese delle meraviglie.
Fulcro della storia è la visione di una realtà atroce vissuta attraverso gli occhi disincantati di una bambina che si muove con passo lento in un mondo adulto incomprensibile ma, al contempo, vivido e drammatico. Jeliza-Rose, interpretata dalla bravissima Jodelle Ferland (già vista in Silent Hill), riesce a sorreggere il peso dell’intero film lasciando vertere ogni inquadratura su se stessa, lanciandosi in monologhi surreali e astratti ed immergendosi in sogni ad occhi aperti alquanto stralunati. Tuttavia questo ruotare le scene su un solo personaggio incastonato in poche situazioni rappresenta proprio il maggior limite della pellicola. Resta incomprensibile la decisione, sicuramente non scelta a tavolino, di far durare la pellicola ben due ore ma un tale minutaggio di solito presuppone una ricchezza di contingenze o una varietà di idee tale da motivarne la scelta e alleggerirne la pesantezza. Non è questo il caso.
Atmosfere oniriche, freak e anormalità varie compongono una costellazione irrazionale che si arcua lungo spirali spazio-temporali deformate dalla lente di ingrandimento scapestratamente manovrata da un Gilliam in gran spolvero. Disperazione e morte si schiantano sulle mura dell’anormalità fantastica rendendo il mare di significati onerosamente salato per chi è abituato alla favola nera di Jeunet o Burton. Qui il dramma oltre ad essere mescolato con il grottesco, come nei film dei due autori citati, si macchia di situazioni indigeste che hanno spinto i produttori a lasciar passare in penombra Tideland, nonostante il nome importante alle spalle.
Situazioni in cui la piccola Jeliza-Rose bacia un adulto sono quanto meno disturbanti così come quelle della preparazione delle dosi letale di eroina, portando in auge tematiche scottanti che stridono con il concetto di fiaba nera. Questa non è una critica, anzi Gilliam ha avuto il coraggio di optare per una strada mai battuta (per comprensibili motivi) anche se, anche in questo caso, si perde all’interno di una sceneggiatura farraginosa che mal caratterizza personaggi come Dell e Dickens, lasciandone i caratteri solo abbozzati e costringendo la nave ad affondare. Se il tutto poi lo si intinge nella stasi evolutiva delle situazioni, la caduta è definitiva.
Resta la speranza che Tideland sia un nuovo punto di partenza per il regista di Minneapolis, capace in futuro di servirsi di tali spunti edificandoli con maggiore ricchezza.