THE YELLOW SEA – Na Hong-jin
Il cielo terso, con nubi cariche di pioggia acida che pulsano all’unisono con il cuore impazzito di Ku-Nam, tassista la cui moglie si è recata apparentemente per lavoro da mesi in Corea del Sud, ma da cui non riceve più alcun messaggio … se non lacrime che cadono dal cielo e che fanno scivolare l’uomo sulla sottile fune che lo tiene in vita. Dislocato al confine tra Cina, Russia e Corea del Nord, devastato dal vizio del gioco che lo trascina ancor di più sul baratro, trova uno possibile snodo cruciale nell’offerta del boss locale Myung-Ga.
Quest’ultimo gli propone un visto per recarsi in Corea del Sud, più del denaro, in cambio di una semplice azione … uccidere un uomo. Il tumulto per la sorte della moglie da un lato, ma il timore di perdere per sempre la propria figlioletta, lasciandola in una terra che reputa ostile lo lacerano, ma mentre la pioggia cade la decisione è presa. Nonostante le prime complicazioni, la situazione degenera senza tregua quando si rende conto di non essere il solo assassino a cui è stato affidato l’incarico, e anche la verità sulla situazione della moglie stenta a venire a galla … una matassa da cui capisce ben presto sarà difficile sbrigliarsi, se non perdendo quanto di più caro.
Immenso. È questo il primo aggettivo che viene in mente guardando The yellow sea, un lavoro dal respiro epico, che dura ben 157 minuti senza mai stancare, grazie specialmente ad uno sforzo in fase di script veramente lodevole. Se ad un primo impatto l’aggrovigliarsi eccessivo della trama sembra stranire lo spettatore, con l’incedere dei minuti si inizia a metabolizzare l’intreccio, accompagnati da sequenze da un impatto visivo/emotivo che hanno pochi pari nella storia del cinema noir/action: dagli inseguimenti automobilistici a corto respiro, alla mattanza spietata con un osso di bue, dalla corsa perdifiato nei cunicoli stretti di una nave ancorata alle torture dentro stanze buie e squallide.
Dopo il sorprendente, ma non ancora così maturo, The Chaser, Na Hong-jin prosegue nel suo dipinto nero pece, dove corpi feriti si stagliano come macchie nell’oscurità, oppressi dalla metropoli, schiacciati dalle proprie esistenza e ciechi in un miasma denso e buio. Ku-Nam corre a perdifiato tra cumuli di corpi e pensieri nefasti, sospinto dal ticchettio martellante dell’orologio che ne scandisce i (possibili) secondi di vita rimasti, prima che parta la nave o prima di compiere il primo omicidio.
The yellow sea è uno dei migliori thriller/pulp/noir degli ultimi anni, raramente si assiste basiti ad un così vasto campionario di emozioni, trattenendo il respiro di fronte agli inseguimenti, voltando lo sguardo di fronte alla violenza, con un tuffo al cuore nella malinconia di un amore perduto. Splendido.