THE TALL MAN – Pascal Laugier
Prima che il capolavoro conosciuto col nome di Martyrs rivoltasse la scena horror (nonché molti stomaci, incluso quello del sottoscritto), Pascal Laugier era niente più di un regista come tanti, con alle spalle soltanto un’insapore ghost-story (Saint Ange), passata giustamente sotto silenzio un po’ ovunque.
L’iperviolenza sfaccettata dell’opera seconda proietta Laugier sotto i riflettori e gli impone la responsabilità di un post-Martyrs che ne confermi il talento. Il regista francese si prende il suo tempo (quattro anni, intermezzati dalla tentazione di prendere il timone del remake del classicone Hellraiser) e sforna The Tall Man, italianizzato malamente col titolo I Bambini Di Cold Rock che con il suo predecessore, tanto per essere chiari, non ha nulla a che vedere. È importante saperlo, è importante capirlo per evitare di trascinare in lungo il paragone tra i due film, ma anche (e soprattutto) perché la scelta di Laugier è sintomatica della volontà di cambiare, sperimentare, evitare la trappola dell’autoclonazione artistica.
Abbandonate le secchiate di sangue e l’iperrealismo da tortura, è la volta di un articolato racconto di mistero, quello di un minuscolo paesello americano stritolato dall’isolamento, dalle infinite foreste circostanti e da una leggenda pericolosamente concreta: quella dell’”Uomo alto” (come da titolo originale), che rapisce i bambini locali. Julia (Jessica Biel, Non Aprite Quella Porta 2006, The Illusionist), moderatamente scettica, rivedrà le sue teorie quando un misterioso intruso si introdurrà nella sua abitazione prelevandole il suo unico bambino.
Come in Martyrs (e qui, giuro, si estingue il parallelo), misteri e rivelazioni a matriosca, non tutto è come sembra a prima vista, anzi quasi nulla e il thriller che si va a delineare accumula domande. Chi è l’uomo che infesta Cold Rock? Che fine fanno le sue vittime, i cui corpi non tornano alla luce? Ma, soprattutto, chi ha dato la licenza di recitare a quella “cagna” della Biel? Laugier azzecca quasi tutto il resto: The Tall Man consacra la regia e la scrittura del suo autore, la cui infinita immaginazione trasforma la banalotta storia di maledizione in un thriller solidissimo che sfiora la sociologia e l’inganno tematico tanto caro allo Shyamalan di The Village.
Qualcuno lo accuserà di non volerla mai fare facile, aggiungendo ammiccanti colpi ad effetto e ripetute svolte a sorpresa, anche quando non servono poi granché, ma il giochino funziona e per tutta la durata del film la cappa di intrigo, cospirazione e sospetto strozza il respiro anche grazie ai suggestivi panorami scelti, lontani dalla Francia e vicini a quell’America abbandonata a se stessa; una comunità boschiva così cupa non si vedeva dai tempi di Twin Peaks (Lynch-fans, era per dire, suvvia!). La voglia di sbavare su una carneficina-bis scorreva potente in noi e probabilmente anche in Laugier, che però con la ponderata scelta di un film diverso, più composto ma altrettanto spiazzante, rivince la scommessa e mantiene la sua elitaria posizione di novello maestro del brivido.