THE STRANGE COLOUR OF YOUR BODY’S TEARS – Bruno Forzani, Hélène Cattet
Un uomo, Dan Kristensen, sta tornando da un viaggio di lavoro, chiama la moglie diverse volte avvisandola dei suoi spostamenti senza ricevere alcuna risposta. Al suo arrivo non trova nessuno. La donna è fuggita? È stata rapita? È stata uccisa?
Se il precedente lavoro della coppia Forzani-Cattet, Amer, sperimentava con le immagini e i suoni, sin dal titolo si intuisce come The strange colour of your body’s tears sia un passo ulteriore verso il distacco dal canonico gioco-sequenza cinematografico. La verticalizzazione della sperimentazione frana all’interno delle pareti di un edificio, luogo claustrofobico dove sono rinchiusi i protagonisti, come anime in pena, scoprendo via via intercapedini e anfratti che ne rivelano la profonda ambiguità.
Come in horror italiani (citiamo Profondo rosso, Inferno o La setta) l’analisi specifica delle quattro mura entro cui ci muoviamo tridimensionalmente in maniera passiva, sconvolgono la pacifica tranquillità di un habitat che reputiamo immacolato, “nostro”, lontano da ogni forma di violenza della privacy. L’edificio diviene simbolo di costrizione, che sia di un amore (come quello della scomparsa moglie) o di libertà non cambia nulla, e di mistero, un luogo dove si cela una presenza misteriosa a tratti eterea, altre volte fisica(mente metabolizzata in un individuo avvolto in indumenti neri, con tanto di guanti, come da tradizione argentiana).
La ricerca di Dan si snoda attraverso personaggi poco ortodossi, plumbei cunicoli e loop temporali destabilizzanti, mutati in esperimento audio-visivo da Bruno Forzani e Hélène Cattet grazie a split-screen, immagini al rallentatore, sequenze in bianco e nero, improvvise virate di colori e umori o riflessi multipli su specchi infranti. Tecnicamente The strange colour of your body’s tears stupisce per la sua capacità di rivelarsi come viaggio extrasensoriale oltre la patina cinematografica, materia plasmata ad hoc per racchiudere una latente sessualità deviata da una violenza apparentemente non-sense.
Le influenze del giallo settantiano si riverberano come macchie su un disegno di più ampio respiro, lasciando confluire echi da Una lucertola con la pelle di donna come del già citato Inferno, tuttavia queste pulsazioni lasciano una sensazione di vuoto allarmante. Se è vero che l’impianto sonoro-visivo non può che destabilizzare (positivamente), iniettando ambigui input sottopelle, è anche vero che tale sistema organico sembra celare una assoluta mancanza di profondità di script. Scremata la patina di stupore post-prima visione, ci si rende conto che la trama (il “giallo” così citato) non è altro che un caos estetico che rischia di apparire (o forse lo è) fine a se stesso. L’intreccio è solo all’apparenza articolato, in realtà privo di mordente.
Difficile intuire il confine tra arzigogolata estetizzante presa in giro o capolavoro innovativo-esplorativo-visivo, quel che è certo è che dopo la proiezione resta quella (insensata o innata?) voglia di scagliarsi a capofitto in una seconda visione.