THE ROLLING STONES: CROSSFIRE HURRICANE – Brett Morgen
Quando un giornalista britannico informa Keith Richards che il suo nome figura al primo posto nella lista dei personaggi famosi di cui si sospetta imminente dipartita, il leggendario chitarrista degli Stones fa un tiro dalla sigaretta e risponde placidamente: “Ah si? Beh, vi terrò informati”.
Nel divertente siparietto e nella risposta di Richard c’è l’essenza strafottente dei The Rolling Stones: dagli anni sessanta ad oggi, la loro miscela di rock e blues è stata una tappa obbligata per qualunque appassionato, studioso o seguace del rock’n'roll. Il gruppo capitanato dall’istrionico Mick Jagger ha rappresentato una rivoluzione anche nell’ambito extra-musicale, con un vero e proprio circo di bizzarrie, di folle isteriche al seguito, di eventi live maestosi (talvolta drammatici), di eccessi, abusi e perdite.
La cinquantennale vita degli Stones, sopra e dietro al palco, viene riassunta nel documentario Crossfire Hurricane, diretto dall’esperto in materia Brett Morgen (On The Ropes, Chicago 10). L’opera recupera parecchio girato appartenente a Gimme Shelter (1970) e Cocksucker Blues (1972), due precedenti opere documentaristiche dedicate al gruppo ma lo arricchisce con altrettanto materiale inedito composto da interviste e filmati storici, commentati in maniera molto personale e intimista dai membri della band.
L’ottimo montaggio prende il via dagli esordi di Jagger e soci, caratterizzati dall’inopportuno ma inevitabile confronto con i connazionali The Beatles. Gli Stones divennero dunque l’alternativa a quei “bravi ragazzi pettinati”, dando sfogo alla ribellione, alla trasgressione (quasi forzata dai media) e all’interpretazione del ruolo di “bad boys”.
Testimonianze personali dei componenti del gruppo accompagnano l’ascesa e la fama, con i lati positivi ma anche i tranelli della situazione: dalle imbarazzanti reazioni del pubblico, ricordando come molte ragazze svenissero o si urinassero addosso durante i loro infuocati live shows, fino alle dipendenze (e conseguenti traversie legali) di Richards, passando per i frequenti concerti interrotti dopo pochi minuti a causa dell’aggressività della folla. Apice di questa isteria fu il tragico concerto di Altamont, nel 1969 (la “risposta violenta a Woodstock”, secondo alcuni titoloni di giornale), durante il quale un’ingestibile e oceanica folla si scontrò con gli Hell’s Angels, culminando fatalmente nell’accoltellamento mortale di uno spettatore.
E’ l’emblematico abisso del lato oscuro della carriera eccessiva, edonistica e sregolata degli Stones, che portò con sé quella “lucida ed estrema follia” che è spesso sembrata parte del gioco di rockstars.
On stage, lo spettacolo degli Stones è qualcosa di ipnotico, di sessuale, perfettamente bilanciato tra le corde di Richards e Jones, la voce e le mosse tarantolate di Jagger e il silenzioso apporto ritmico dello schivo Watts; gli eccessi esigono però il loro tributo e Brian Jones, sopraffatto dagli acidi, viene allontanato dal resto della band. Qualche settimana dopo, il suo corpo viene ritrovato nella piscina di casa, in una delle morti più note e misteriose della storia del rock.
Il documentario si sofferma sulla tragedia e sul concerto di Hyde Park che, seppur organizzato per differenti ragioni, divenne a tutti gli effetti una lunga e toccante celebrazione dello “Stone” scomparso. Toccante è anche il ricordo dei suoi compagni, che a distanza di anni riflettono sull’accaduto e sui loro rimorsi: “Avremmo potuto fare di più per Brian”, dice Jagger con un filo di voce, mentre le immagini scorrono. Nonostante i momenti bui, nelle dinamiche immagini della pellicola è sempre evidente e preponderante la magmatica energia delle note degli Stones lanciate sui palchi di tutto il mondo.
Le voci dei protagonisti sono quelle di artisti consapevoli di aver preso una corda, averla tirata molto, averla spezzata talvolta, ma di esserne ancora aggrappati, a cinquant’anni di distanza. Nella sala, gente di generazioni diverse canta, tamburella sulle gambe, si esalta. A dimostrazione che quella corda, se è ancora tesa, è merito anche dell’enorme seguito che ha sposato la formula dei “ragazzi cattivi”. I quali sui titoli di coda, in un odierno ammasso di rughe, suonano ancora alla grande: come a dimostrare che tutti i faticosi anni raccontati nel riuscito mosaico emotivo di Crossfire Hurricane non siano stati solo distruttivi, ma anche tremendamente divertenti.