THE RAVEN – James McTeigue
Nominalmente il quarto lavoro alla regia di James McTeigue (se si considera anche Invasion, dove però non è accreditato), The Raven prende le mosse dall’omonimo poema di Edgar Allan Poe, che tante vittime ha mietuto nel corso del XX secolo in quanto a influenze nei più svariati campi.
Si pensi allo sport (per esempio la squadra di football Baltimore Ravens o il wrestler professionista Scott “Raven” Levy), alla musica (“The Raven” è uno dei brani più celebri tratti dall’album Tales of Mistery and Imagination – Edgar Allan Poe dei The Alan Parsons Project o la canzone Nevermore dei Queen, ispirata a Il Corvo) e, naturalmente, al cinema.
Del 1912 è il cortometraggio omonimo in cui il ruolo dello scrittore è interpretato da un Guy Oliver praticamente alle prime armi (in seguito diventerà star della Paramount), mentre nel 1915 è Charles Brabin (regista di lavori come La maschera di Fu Manchu e Rasputin e l’imperatrice tanto per capirsi) a confrontarsi con la materia. Bisognerà attendere una ventina d’anni prima che Lew Landers riprenda in mano l’opera di Poe ma con due interpreti davvero d’eccezione, Boris Karloff e Bela Lugosi, rispettivamente nei ruoli di Edmond Bateman e del dottor Richard Vollin.
Ma è di Roger Corman la più famosa (e felice) trasposizione, anche stavolta sorretto da un cast all-star: da Vincent Price al ritornante Boris Karloff, da Peter Lorre a Jack Nicholson. Ed è l’ennesima dimostrazione di come questo regista sia, in fondo, quello che meglio ha fatto sua la poetica “poeiana” riuscendo a produrne degne trasposizioni. Che dire dunque di questa ennesima repris? Sicuramente che questo The Raven è figlio del suo tempo, figlio di un’industria che, priva di una qualunque idea di cinema nuova e originale, ripesca dal trapassato per rivomitare prodotti senz’anima.
Ed è questa la cartina tornasole di un modo di fare che se da una parte è incostentabile, dall’altro è l’ulteriore dimostrazione delle vuotezza del nostro presente, tanto che, malgrado l’assunto narrativo sia piuttosto interessante e stimolante (Poe come “detective” dei delitti compiuti sulla base delle sue opere), tutto viene sacrificato sull’altare di questo modo di fare cinema. Lo lo stesso John Cusack, bravo altrove, rasenta l’insopportabilità in questo contesto. Piuttosto (ri)cercate P.O.E., Poetry of Eerie, progetto italianissimo con al centro pugni di registi indipendenti che sulla base di alcune precise direttive si sono confrontanti con racconti brevi e poemi del grande scrittore, bello imperfetto e animosamente originale.