THE NEON DEMON – Nicolas Widing Refn
The Neon Demon è il racconto allegorico di Nicolas Widing Refn, la narrazione della sua personalissima discesa nell’inferno del narcisismo. Il regista danese, fin dai tempi della trilogia di Pusher, ci ha abituati alle sue allegorie e alla poeticità tinta di rosso, elementi che ne hanno marcato i tratti indistinguibili del suo modo di fare cinema, rendendolo portabandiera del dualismo sangue – poesia.
Per trovare registi che, come lui, riescano a comporre ogni singola inquadratura come se fosse un quadro, valorizzando ogni particolare delle immagini, bisogna scomodare nomi del calibro di Stanley Kubrick. Le sue storie sono semplici, spesso convergenti sul tema della vendetta, con istinti ed emozioni primordiali che dominano la scena, venendo fuse talmente bene con le immagini, con la fotografia, con il ritmo del montaggio, che trovare un percorso unitario per raccontarle in maniera lineare è molto difficile, probabilmente inutile. In The Neon Demon, infatti, troviamo una massiccia preponderanza di simbologie e archetipi rispetto alla fabula e l’intreccio di una normale storia.
In realtà bisognerebbe cominciare a parlare di The Neon Demon partendo proprio da quegli elementi che compongono le immagini, anche perché sempre di arte visiva si parla, come la scelta della protagonista Jesse (Elle Fanning), incarnazione dell’adolescente ritratta dentro la mente del regista. Refn lascia esplodere gli angoli più bui della sua anima, forse più che in altri film, e come ha sempre dichiarato “Un regista, al netto di tutto, finisce sempre per parlare di se stesso, in ogni suo film.”
Il personaggio di Jesse è il Caronte, traghettatore dello spettatore nell’inferno patinato del mondo della moda che è tanto pulito, tanto lucido, quanto spietato e violento. In questo mondo non solo vi è questa sfrenata ricerca dell’eterna giovinezza a tutti i costi, ma vi è anche la conseguente frustrazione derivante dalla non accettazione della natura transitoria di essa. Il demone della bellezza e dell’ego è come una bellissima bestia che alberga dentro di noi, immortale, inviolabile, pura come l’istinto primordiale ma con una dignità che non deve essere mai violata, pena la vendetta subdola e violenta. Alla stessa stregua, però, cedere alle lusinghe, ai doni di potere rappresentati dall’eccessiva adorazione di se stessi può portare a crollare sotto il peso della spropositata considerazione di se stessi.
In passato filosofi teologi e pensatori si sono sempre interrogati sull’esistenza o meno di Dio e sul suo contraltare, il Demonio, ma se invece di considerali come entità astratte pensassimo all’inferno e al paradiso non come dei luoghi lontani dalla nostra terrena esistenza ma come regioni della nostra coscienza, se l’inferno non fosse altro che la rappresentazione della prigionia del nostro ego, concetti come peccato e redenzione non ci sembrerebbero così distanti.
In The Neon Demon rivive anche la personalissima rivisitazione del mito di Elizabeth Bathory, vera e propria feticista del bagno … nel sangue di giovani vergini, per nutrirsene e garantirsi l’eterna giovinezza. Il film di Nicolas Widing Refn non può che dividere il pubblico nettamente tra chi lo odia, ritenendolo fallace e ammiccante verso una critica snob, e chi lo ama, perdendosi nei suoi innumerevoli significati. Sicuramente si può affermare come la simbologia e l’estetica di Refn, al contrario di quella di altri blasonati autori, rimane tra le più codificate ed accessibili del panorama cinematografico odierno.
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