TETSUO – Shinya Tsukamoto
Giotto è stato definito il primo pittore a dipingere in volgare, quel pittore che attraverso le sue superfici fu capace di uscire da quel pensiero medievale tanto caro ai suoi predecessori. Inizia ad entrare così nella natura dell’uomo che lo vede più vicino alla realtà, al dramma e a quei dubbi quale reale forma di mutazione della propria consuetudine. Michelangelo, circa trecento anni dopo, completerà tale mutazione espletando la figura non più come copia della natura ma andando oltre, creando un nuovo modello universale di “umano”.
Tetsuo di Shinja Tsukamoto è il compimento massimo, la completezza finita di quella ricerca iniziata da maestri quali: il Ridley Scott di Blade Runner, il Sogo Ishii delle prime sperimentazioni, il Cronemberg di Videodrome dove la nuova carne non è più madre di deliri snuff via etere o di un corpo artificiale sensibilizzato che cerca di fuggire, ma è la mutazione di un corpo “nuovo-umano” dove la carne si adatta al nuovo bunker.
Il fatto di girare un film dove la grana del bianco e nero si mischia con la ruggine, che collassa in una cancrena non più nociva ma evolutiva, che si riduce a una lunga vendetta, dona alla pellicola quel realismo shock che ci porta non nella rappresentazione di un regista ma nella vera realtà di un cyberpunk alle prese con uno stato di confusione-fusione in piena progressione. Tetsuo non è un film, ma un atteggiamento che si registra nella propria segregazione o discrezione che non possiamo conoscere. Soltanto dopo averlo visto abbiamo la possibilità di aver scoperto qualcosa che prima non esisteva, proprio come il corpo di Michelangelo. La carne è una verità che si consuma, prende infezione, diventa “cosa”.
La mutazione tra carne e ferro, tra cancrena e ruggine, la condivisione del fatto che l’organico e l’inorganico godano dello stesso contagio avvia a un corpo non più malato ma mutato in una favola al tetano che tende i nervi andando oltre lo stadio della malattia, recuperando una forma di vita immune alla materia. Tetsuo è l’opera completa che non può diventare scuola o genere, forse citazione o perché no, manierismo. E’ il corpo di Michelangelo che diventa contemporaneo, la vera grande bellezza inimitabile di fine e inizio millennio che dal pianto romantico di un nexus 6 diventa corsa industrial verso un’epica fine del mondo, fine figlia della televisione e dell’underground. Un immaginario che esplode in una visione così dilatata che riporta lo sguardo in un range umano.