SUNSHINE – Danny Boyle
Icarus 2, l’ultima speranza di un’umanità in corsa verso la fine di tutto. Un’astronave equipaggiata con un ordigno nucleare, destinazione Sole. Un unico tentativo per far deflagrare la bomba e ridar vita alla nostra stella, una missione ai limiti del possibile, apparentemente sulla scia del successo … finchè non riceve un segnale dalla dispersa Icarus 1 …
Cronologicamente collocato nel 2057, Sunshine esplora i limiti del cinema di fantascienza sperimentandone i confini attraverso soluzioni tecnico-visive e derive mistiche dal sapore antico e al contempo moderno. Danny Boyle si mette in gioco, rischiando di divenire vittima di un pout-pourri citazionistico fine a se stesso (numerosi i richiami a Solaris cosi come a 2001 Odissea nello spazio), ma riesce a vincere la sfida trasfigurando l’orrore e il senso di impotenza fisica quanto morale non in un essere spaventoso, presente nelle ultime scene del film, ma nella profonda immensità dello spazio.
Claustrofobia e magniloquenza epica di un nemico cosi imponente sono i tratti somatici di Sunshine, capace anche di non banalizzare un gusto mistico che non può che tuonare l’impotenza dell’essere umano di fronte a quello che si può chiamare Dio come Natura, Budda come Big Bang. Boyle dirige con precisione la prima metà del lavoro, riuscendo a non annoiare mai grazie al crescente senso d’asfissia e ad un montaggio ben calibrato, pigiando sul pedale dell’acceleratore nella seconda metà, incrementando anche il ritmo del montaggio, rischiando alle volte di creare confusione. Sunshine rappresenta uno dei sci-fi cult della prima decade del ventunesimo secolo, uno di quei film in cui nascondersi quando ci si vuole sentire soli e persi nell’immensità.