SUBURRA – Stefano Sollima
La Suburra (Subura) nella Roma antica era un quartiere che si estendeva dalle pendici dei colli Quirinale e Viminale fino ad arrivare a quello che è oggi il quartiere Esquilino. Una terra di nessuno che faceva da cuscinetto tra i vari quartieri benestanti, dove viveva un certo tipo di popolazione appartenente ad un sottoproletariato urbano molto povero che, molto spesso, sopravviveva grazie ad espedienti.
Per questo motivo nel corso dei secoli il termine Suburra ha assunto un’accezione negativa e, i luoghi apostrofati con quel nome, sono identificati come malfamati e poco raccomandabili.
Stefano Sollima ritorna sul grande schermo dopo A.C.A.B. e ritorna a trattare l’attualità e il lato oscuro della società di casa nostra, usando la chiave di lettura del noir e rispolverando un cinema di genere più in auge negli anni ’70, quando i venti di protesta soffiavano con maggior energia di oggi.
Forse quei venti stanno tornando, il periodo di grossa crisi mondiale unito al malcostume e all’illegalità tipicamente nostrane stanno facendo si che la popolazione, non più benestante, possa alzare la testa e spostarsi dai comodi agi delle poltrone per riprendersi ciò che spetta loro di diritto: la dignità.
In Suburra i fatti narrati sono puramente inventati ma sicuramente i contesti, le atmosfere e i luoghi dove essi si svolgono sono tutt’altro che fantasie. Un punto fermo, il regista di Romanzo criminale – la serie e Gomorra – la serie, lo mette a partire dalle date: si parla della caduta dell’ultimo governo Berlusconi e delle dimissioni di Papa Ratzinger dal ruolo di pontefice.
C’è aria di un cambio di guardia tra gli scranni del parlamento ma, prima che tutta il governo crolli, un vecchio malavitoso, ultimo rimasto di quella che un tempo era conosciuta come Banda della Magliana, dal nome Samurai (Claudio Amendola) cerca di mettersi d’accordo con tutte le organizzazioni criminali di Roma e i poteri forti universalmente riconosciuti tra porporati e parlamentari, al solo scopo di attuare una mega speculazione edilizia mascherata da riqualificazione territoriale. Questo per trasformare la faccia del lido di Ostia in una nuova Las Vegas, dove poter gestire traffici di denaro e potere. Per attuare il suo piano ha, ovviamente, bisogno di un politico, non di spicco, che non dia nell’occhio ma opportunamente celato dietro la sua maschera di mediocrità, e lo scova in Filippo Malgradi (Pier Francesco Favino).
Svelare troppo sulla trama toglierebbe il gusto (o il disgusto) di scoprire effettivamente cosa si nasconde dietro la facciata pulita di Roma, dietro alcune scelte delle quali sentiamo tutt’oggi gli effetti sulla pelle, annunciate mediante un lapidario comunicato televisivo.
Sollima, in questa sua seconda prova sul grande schermo, si eleva dagli scenari un po’ confusionari di A.C.A.B. perdendone in genuinità ma, sicuramente, guadagnandone in raffinatezza. Ottima la prova degli attori tra cui troviamo un Elio Germano in grande forma, Alessio Borghi (che ha interpretato anche l’ultimo film di Caligari – Non essere cattivo), Giulia Elettra Gorietti e Greta Scarano.
Vale la pena soffermarsi anche su alcuni dettagli prettamente tecnici: il progetto è stato supportato da Netflix (produttrice di House of cards) che ne ha subito messo in cantiere una serie, con una distribuzione su 500 sale del suolo italico e una diffusione anche sul canale americano di Netflix, a riprova che è possibile fare un cinema che parli la nostra lingua, che venda all’estero e che non debba necessariamente scimmiottare il cinema americano.
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