SUBMIT TO ME – Richard Kern
I cortometraggi di Richard Kern più che deliranti conseguenze di una condizione registica sembrano un reportage non autorizzato di un “mercenario” infiltratosi in un reparto dell’ Area 51. Un “video-registratore” pronto per documentare non un delirio, bensì una realtà provocata da un fallimento di laboratorio occultato dal governo.
È l’intruso che scopre quelle cose che normalmente non si possono vedere, si trova in una sorta di camera oscura dove personaggi come Lydia Lunch, Henry Rollins, Kim Gordon e via discorrendo vengono ripresi tra colori stracciati, sgranati, saturi che li deformano in situazioni turpi.
Submit to me, uno dei corti più rappresentativi di Kern, è la prova di come la sola combinazione tra musica e immagini possa portare a una situazione così fluida e corporale che in quella azione, violenta e di rumore, porti una melodia così lucida e strutturata. Potremmo chiamare in causa Chris Burden, Genesi P.Orridge, Marcel.lì Antunez Roca, Jack Smith di Flaming Creatures fino alle agghiaccianti performance chirurgiche di Orlan, per citare artisti analoghi, dove il discorso così estremo e orrorifico trova un “sentire altro” che infastidisce l’osservatore che si perde in quella perfetta combinazione tra new wave e industrial.
Richard Kern è uno dei padri indiscussi, nel suo underground, di un nuovo corpo. Non apocalittico e mutante come il Tetsuo di Shinya Tsukamoto, non randagio e situazionista come il Pinocchio di Shozin Fukui (anche perché è ingiustificabile la comparazione con l’Oriente) ma di certo libero, scellerato, consumato e vissuto nei garage di New York che puzzano ancora di un’esibizione dei Sonic Youth di metà anni ‘80. Il rincorrersi dei corpi è fine a se stesso, degenera, per il proprio compiacimento e, l’esibizione di Lung Leg con il suo coltello tirato dalle mutande, è una provocazione non solo verso lo spettatore ma verso il regista stesso.
Kern, in Submit to me, si compiace di “video-registrare” amanti che si tagliano la gola in un ultimo abbraccio, un’unione interamente immersa nel sangue, un uomo che nella sua disperazione grida, nudo, in faccia all’obiettivo. Forse è questa la sua de-generazione, la sua psichedelia portata alle estreme conseguenze, quel cinema che da un’ eredità Wharoliana arriva a dei veri e propri drug-movies che allegramente portano alla morte.
VOTO: 8/10
Regia: Richard Kern
Musica: Butthole Surfers
USA, 1985