SHOCK MY ABSTRACTION OF DEATH – Alessandro Redaelli, Domiziano Cristopharo
Lamenti che riecheggiano attraverso vecchie tubature, una vasca da bagno tinta di rosso, il riflettersi scheletrico di una donna e un urlo nella notte. Quel timore ancestrale che sembra voler ritornare alla vita sotto ogni forma, quella paura che intinge le pareti e non ti lascia dormire.
Diviso in due segmenti, Shock – my abstraction of death rappresenta un modo di fare cinema tutto italiano, evocatore di una linea di tensione tipicamente settantiana, come del resto dimostra il titolo, citando Shock di Mario Bava. Uno sgomento costruito tramite pochi elementi (quattro mura, mosche sul vetro), pochi personaggi ed elementi narrativi consolidati nella cultura di genere (visioni che tormentano la notte, voci sussurrate). Artifici legati in parte al budget disponibile, in parte a precisi dettami stilistici, comunque capaci di esaltare uno stile indie, slegato durante la realizzazione a imposizioni dall’alto (con tutti i pro e contro del caso) ma con una strizzatina d’occhio verso l’export (con tutti i pro e contro del caso).
Between us è il primo episodio, diretto dal giovanissimo (ma attivo sulle scene da diversi anni) Alessandro Redaelli, concentrato sul rapporto tra due amici, Yuri e Max, la cui vita verrà sconvolta nel momento in cui i genitori di Yuri vengono sterminati durante una rapina. Chromophobia, secondo e ultimo episodio, è diretto da Domiziano Cristopharo e verte su una coppia, Marco e Celeste, che si trasferisce in una dimora isolata per cercare di far riposare Celeste, reduce da una forte depressione. Ma la casa cela una storia di morte.
Nato come film corale suddiviso in cinque episodi, Shock – my abstraction of death lascia trasparire il desiderio dei registi di imbracciare la cinepresa sin dai titoli di testa, curati con stile cartoon (acido) da Lorenzo Cannone, evidenziando come si possa superare la patina di amatorialità anche senza budget, con molta professionalità e dedizione. Circondati da una crew degna di tal nome, la pellicola si fregia di un’ottima fotografia, un montaggio dosato a dovere (sempre curato da Alessandro Redaelli) e buoni effetti speciali. Un cast non sempre all’altezza ne ricorda la matrice indie, specialmente la dizione nel primo episodio che necessiterebbe di un ridoppiaggio e alcuni momenti del secondo (Yuri Antonosante non entra mai nella parte e la caricaturale recitazione di Peppe Laudisa non aiuta a sostenere la credibilità delle scene), fortunatamente bilanciati da una prova molto professionale di Nancy de Lucia e dai superbi sguardi di Lucia Batassa.
Between us subisce una minore esperienza dell’intero team e una sceneggiatura che avrebbe necessitato di un budget superiore per mettere in scena alcune (e)vocazioni del regista, risultando episodio piacevole ma lasciando un certo senso di incompletezza in bocca. Ottima la colonna sonora drammatica di Alexander Cimino, capace di cadenzare l’atmosfera, chirurgicamente claustrofobica, immersa nel miasma cittadino. Chromophobia sfrutta splendide location abruzzesi, linee febbrili di maggiore impatto designate dal plot di Emiliano Ravenna, ed un senso di paranoia costante, peccando solo di poca originalità.
Shock – my abstraction of death e gli episodi che lo compongono, volontariamente e apparentemente costruiti agli antipodi (il primo maggiormente immerso nel buio, il secondo bruciato dal sole), rappresenta un esperimento riuscito. Probabilmente nella sua concezione originaria in cinque episodi di durata inferiore avrebbe avuto una resa diversa, più corale e fulminea; nella sua forma attuale rappresenta l’ennesimo battito di ali in un underground che si merita di emergere.