ROOM – Lenny Abrahamson
Jack e la mamma vivono in una stanza. Vivono nella stanza, l’unico mondo che Jack conosce. Cinque anni di prigionia, cinque anni senza sapere cosa c’è fuori se non attraverso lo schermo di una vecchia televisione a tubo catodico e un piccolo ritaglio di finestra che guarda verso il cielo. Anni di isolamento, anni di sofferenza, durante i quali il “vecchio” Nick entra e detta le regole alla mamma, violentandola.
Quattro pareti, un cucinotto, un letto, uno sgabuzzino ove nascondersi (quando arriva Nick), un surrogato di “casa” per chi in una casa vera non ha mai vissuto. L’annientamento dell’esterno, sbirciato solo in un lembo di cielo, diviene mondo interiore di una madre e un figlio, segregati, impauriti e sulla linea costante della follia, abrasa solo da un profondo amore. Anche quando il viaggio sul furgone diviene (e simboleggia) lo sguardo più ampio verso l’orizzonte, Lenny Abrahamson ci ricorda come questo non possa bastare, perché le quattro pareti saranno sempre presenti nel mondo dei due segregati.
Room è un thriller dalle venature drammatiche per la prima metà del tempo, un dramma con residui di thriller nella seconda, un viaggio di un profondo amore materno impossibile da terminare, per il dolore del ricordo, e una scoperta delle piccole (come grandi) cose che ci circondano, viste attraverso uno sguardo non più innocente.
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