PREY – Darrell James Roodt
Tom Newman, impegnato per lavoro in Sudafrica, decide di portarsi al seguito la nuova giovane moglie Amy e i due figli di primo letto. Vista l’evidente avversione della figlia nei confronti della matrigna, per migliorare i rapporti tra le due, viene organizzato un safari per l’indomani mattina che rivelerà sorprese inaspettate.
Questo tragico sbiadito thriller ha inizio con la goffa uccisione della guida turistica sotto le fauci di un leone affamato e la conseguente prigionia forzata in una jeep che vedremo avere la miracolosa resistenza dell’auto corazzata di Batman.
Ha inizio una serie di fatti illogici e poco reali che hanno dell’increbile, così da farsi venire il “leggero” sospetto che il minaccioso avvertimento di inizio pellicola (“tratto da una storia vera”) sia giusto un amo alla quale fare abboccare i poveri sventurati spettatori. Di solito, però, quando un film è ben riuscito viene poi spontaneo ricercare notizie sull’accadimento dal quale è tratto per vedere cosa sia romanzato e cosa no, per cercarne le contraddizioni, come ad esempio nell’ottimo Il quarto tipo ricchissimo di spunti. Ma in questo caso parliamo di un normalissimo fatto di cronaca talmente privo di curiosità da non disturbare neanche Wikipedia … quindi perché la mente del regista Darrell Roodt?
Quando un film risulta banale e prevedibile? Forse nel momento in cui prima di svariate sequenze ci troviamo annoiati a suggerirci “e adesso la macchina non si accende … adesso appare il leone”, 92 minuti ad attendere che la storia decolli e ci porti in una dimensione vagamente emozionante e coerente. Il difficile rapporto tra la matrigna e la figliastra adolescente ruba quasi la scena talvolta al terrore che i felini dovrebbero incutere in quella jeep ormai rovente, e ci coglie il dubbio che Amy sia più esasperata dai modi irritanti della ragazzina che da leoni e mancanza di acqua. Un film drammatico quindi senza dubbio ma che ha ben poco di un thriller mozzafiato.
Non male l’idea di girare alcune scene dal punto di vista del felino come se guardassimo gli spazi circostanti con suoi occhi, ma rimane fine a stesso e anche qui non porta da nessuna parte. Branchi di massimo 3/4 leoni sdraiati placidamente sotto qualche alberello che non si spostano mai in gruppo e che non vedremo mai sbranare inferociti le prede appena catturate. Persino un documentario di Piero Angela nella sua veridicità è più emozionante. E in tutto questo finto dramma, il pater familias alla disperata ricerca della sua famiglia minimamente supportato dalle autorità locali, in un luogo dove nella realtà fiorisce il turismo e dove una guida munita di fucile non è così fessa da farsi assalire da un leone avvistato in lontananza tre quarti d’ora prima.
Qualcuno ha paragonato Prey al Cujo di Stephen King. Paragone molto azzardato a prescindere, dato lo spessore del romanzo da cui è tratto e la buonissima trasposizione della pellicola stessa. Ma oltre a questo l’unica analogia è rappresentata dal comune punto di vista dell’animale che saltuariamente ci viene mostrato, ma della suspence e dell’ansia che si respira in Cujo in Prey non si sente neanche l’odore. Terrificante certo, ma solo nella sua inutilità.