OPEN GRAVE – Gonzalo Lopez Gallego
Un uomo si risveglia circondato da cadaveri. Il panico inonda il corpo di adrenalina, la foga di scappar via da quel cumulo di corpi non rende immediata la percezione che la memoria ha una falla enorme. Non sa come si chiama né dove si trova, si rende conto solo della morte che aleggia tutta intorno.
Aiutato a risalire dalla fossa da uno strano individuo muto, l’uomo raggiunge una casa dove scova altre persone nella sua condizione di assoluta perdita di memoria. L’unico appiglio una data imminente segnata sul calendario, un punto di incontro in un mare di incertezza.
Gonzalo Lopez Gallego gioca le carte in mano con lentezza, tenendo gli assi celati nel mazzo, suggerendo possibili soluzioni al dilemma e costruendo la tensione intorno all’ignoto. Relega i personaggi su una sorta di collina/eremo (apparentemente) abbandonato, distante dal mondo, e inietta dei flash di memorie via via che la sceneggiatura ne richiede il bisogno, furbescamente, alle volte senza completo criterio logico. Tuttavia Open grave riesce a bilanciare il carico prettamente orrorifico (corpi deambulanti, occhi cavati, … ) con un mood drammatico che riesce a donare quel quid che molti prodotti di genere non hanno.
Le ingenuità e, se vogliamo, il non originalissimo twist finale, vengono così esaltati da quel clima senza speranza che sembra attanagliare il gruppo (in particolare) e l’umanità intera (in generale); grazie anche all’uso di una colonna sonora, innalzata da malinconici rintocchi di pianoforte, pregna di pathos. Open grave, quindi, scivola via dal guscio di indipendente splatteroso (come il trailer malamente suggerisce) o di facili spaventi (sonori), trascinandosi dietro i vizi di forma di un low-budget (attori non sempre all’altezza, poca cura dei dettagli) ma divenendo un nucleo fresco e pulsante grazie a questo originale amalgama. Da rivalutare.