MULTIPLE MANIACS – John Waters
Ci sono tante cose in comune tra John Waters e Pier Paolo Pasolini: il gusto dell’eccesso, lunghi dialoghi e la ripresa del vero che più vero non si può, ovvero il mondo degli emarginati dei freak che si trasformavano nelle borgate romane. Entrambi cercano la verità ma Waters lo fa con un piglio molto infantile e goliardesco.
Divine veste con un abito molto semplice anni ’60 ma tutta la sua cattiveria trasgressiva la esprime nel rossetto sulla bocca che lo rende più simile ad un ghigno satanico, che si accentua a dismisura nella psichedelica scena del sesso lesbico in chiesa (anche se per un travestito la parola “lesbica” appare non-sense). In questa scena Divine viene masturbata da una distinta signora (Mink Stole) con un rosario, con un impatto visivo maggiore dato dalla location, una vera chiesa (anche se al prete non era stato rivelato il vero intento del regista). La scena di sesso è, inoltre, intervallata da una sorta di riedizione della passione di Gesù Cristo piuttosto feroce (le scatolette di tonno ed il pane imbustato come sorta di pani e pesci dell’era consumistica).
In Multiple Maniacs, uno dei primi lungometraggi del regista di Baltimora, considerato il re del cattivo gusto (ma a Baltimora pare abbiano tutti una predilezione per il kitch), appaiono tutti gli attori della Dreamland, una specie di comune cinematografica formata da John, Mink Stole, Edith Massey, David Lochary e naturalmente Divine. In questo film Waters esprime tutta la sua predilezione per le storie criminose (il regista ama assistere ai processi in tribunale) e cita anche il massacro di Bel Air oltre a Sharon Tate.
L’uso del bianco e nero rende tutto molto suggestivo ma è sopratutto nel finale catartico che si esprime al meglio la tragicità grottesca di questo film non facile da digerire, un finale in cui muoiono tutti (o quasi) per mano di Divine, trasformatasi progressivamente in un serial killer cannibale che mangia il cuore al suo ragazzo per poi, chissà come e all’improvviso, essere stuprata da un’enorme aragosta dal nome mitico di Lobstora, una sequenza da incubo in cui Divine non lesina certo le urla disperate. E’ tuttavia grottesco che mentre l’aragosta stupra Divine, si vedono i cavi che sorreggono il plasticoso crostaceo.
Ma non finisce qui, Divine, completamente pazza, esce di casa in vestaglia e pelliccia, inizia a sfasciare macchine ed aggredire gente (che del resto fugge ridendo) prima di venire uccisa, in un selvaggio rituale hippy, dalla guardia nazionale. Cosa rende questo film mitico? Il magico mondo dei disperati annusatori di colla e l’incomparabile interpretazione di Divine, mostro goliardesco del futuro e tutta la setta di pazzi che ha partecipato alla realizzazione di questo capolavoro.