MARQUIS DE SADE’S JUSTINE – Jess Franco
Meglio conosciuto col titolo di Justine, ovvero le Disavventure della virtù, questo film fece infuriare tanti, in primis il regista costretto a limare De Sade, seguito a ruota dagli amanti del Divin Marchese, così come dalla Chiesa stessa.
Immaginate il libro di De Sade in mano a Jess Franco … un bambino in un negozio di caramelle. Avrebbe potuto sbizzarrirsi e dare sfogo a tutte le oscenità descitte nel libro, con gli occhi scintillanti e sfregandosi le mani, e invece (mugugnando e inveendo) ha dato origine a quello che lui stesso definisce ”una fiaba alla Disney, in cui la ragazza è diventata una sempliciotta persa in una foresta da incubo”. Povero il nostro regista che si vede privato della gioia di mostrare adeguatamente sullo schermo una gattamorta come Romina Power. Comprensibile la rabbia di Jesùs Franco viste le potenzialità: gli scritti di De Sade, la presenza di un cast prestigioso, le tematiche scottanti e la capacità di giocare con la telecamera. Causa di tutti i mali la ragazzina scialba, incapace di infondere alla protagonista quella malizia provocatoria presente negli scritti del marchese.
Quello che ne esce fuori è quasi un inno alla verginità, un percorso verso la santità, ove una protagonista talmente ingenua da sembrare stupida, cerca di sfuggire un pericolo cadendo in un antro ben più pericoloso. In effetti, l’aria da Biancaneve sperduta nella foresta questa Justine/ Romina ce l’ha. Protetta dalle mura del collegio e dalle pie Monache, Justine si sente tranquilla e sicura. Alla morte dei genitori però, la ragazza e sua sorella devono abbandonare il convento che, come risaputo, non sfama e aiuta orfanelle per la sola gloria. La sorella maggiore di Justine, più sveglia e spregiudicata, senza tante remore si reca in un bordello e intraprende la carriera di prostituta mentre Justine, timorata di Dio, vede come unica ricchezza la sua verginità, tanto che si farà rubare dal primo venuto il poco denaro lasciatole.
Privata di soldi e del suo bellissimo vestito, è costretta a lavorare come servetta presso un albergo di infima categoria, dove però vive un nobile che cerca di addescare la fanciulla in cambio di un grosso gioiello. Ovviamente la ragazza rifiuta a di fronte al piacere negato, il nobile si infuria e la fa arrestare. In prigione viene tenuta sott’occhio da una megera ladra e assassina, che aiuta Justine a scappare. I compari della donna cercano di violentarla ma, ancora una volta, scappa cadendo nelle mani di un marchese gentile con la passione della pittura. Ma anche stavolta la tranquillità non può durare e la ragazza si ritrova, dopo varie peripezie, in un castello i cui abitanti hanno creato una setta in cui sovrana è la ricerca del piacere e la verginità di Justine è un frutto raro.
Marquis de Side’s Justine è un film opulento ma privo di quella violenta passione e di quel calore presenti nel libro, che sicuramente Franco in libertà creativa sarebbe stato in grado di ricreare. Romina Power, con i suoi erano vocalizzi sussurrati da cantante, anche sullo schermo non esalta; una nudità non particolarmente stuzzicante, un’espressione inebetita fissa sul viso sembra volersi chiedere i motivi della sua stessa presenza.
Malgrado i molti impedimenti, Franco riesce a fare di questo film un cult, ricreando la polemica contro la chiesa e contro le sue regole. I personaggi che maggiormente apportano danno a Justine, infatti, sono uomini di chiesa o presunti tali, le suore, trotterellano come ragazze in amore, il finto prete la deruba, il sant’uomo intento nelle preghiere, protettore di Justine è il peggiore di tutti. Franco come De Sade sottolinea come la purezza faccia nascere istinti bassi e violenti, come sia di ostacolo alla vita sociale di una ragazza, come sia destinata a procurare del male, in una sorta di amorale dai caratteri troppo contenuti in questa rivisitazione per risultare incisiva.