L’ULTIMO LUPO – Jean-Jacques Annaud
Ne L’ultimo lupo mitologia e ambientalismo si fondono riportando la memoria dello spettatore alle opere del maestro Hayao Miyazaki, private della dolcezza dei suoi disegni animati. Nella pellicola di Annaud si rivivono le origini dell’umanità, alla scoperta di se stessi tramite l’impatto diretto con uno stile di vita semplice, ripetitivo ma non noioso, scandito dai ritmi della natura, non dai capricci dell’uomo moderno.
Jean-Jacques Annaud ritorna dietro la macchina da presa dopo i successi de Il nome della rosa e Sette anni in Tibet e lo fa con un altro pilastro della letteratura cinese (Il totem del lupo) considerato un libro culto nella terra del Sol Levante, forse perché come un odierno Zanna bianca tratta tematiche e descrive rituali e situazioni che ormai sembrano così lontane nel tempo, quando invece possono essere benissimo databili in periodi più recenti.
Il film si apre con l’ingresso di Chen Zhen all’interno di una comunità mongola di pastori nomadi costantemente alle prese con la difesa del proprio gregge dalle minacce dei diversi branchi di lupi che incontrano lungo il cammino. Il confronto con un essere così puro, letale ma, al contempo, nobile, porta quel popolo allo studio dell’animale, fino a rispettarlo, cacciarlo e soprattutto a venerarlo e temerlo come un dio. Chen Zhen, negli anni di permanenza con i pastori, capisce che la sua vita da cittadino non gli appartiene più e che il continuo confronto con se stesso e le sue paure è uno stimolo per la crescita interiore.
Durante un’escursione egli trova un cucciolo di lupo e decide di salvarlo da morte certa ed allevarlo, ma la sua decisione, sebbene mossa da nobili intenti, non viene accolta positivamente dal resto della comunità. Il messaggio è molto chiaro: l’uomo moderno si è discostato troppo dal percorso naturale delle cose, tanto da credere di poterne decidere a piacimento il destino sostituendosi a Dio. La presunzione e l’arroganza, però, non fanno altro che annebbiare la lucida capacità di giudizio di Chen Zhen e quello che può scaturire da un atteggiamento così dissennato non è altro che la creazione di un mostro.
Un essere istintivo come un lupo si ritrova in cattività ridotto alla stregua di un cane addomesticato, smarrito, spaesato, senza punti di riferimento perché il branco dal quale ha avuto origine non lo vuole più. Il branco ne percepisce un odore diverso, troppo simile a quello umano, ma contemporaneamente il lupo è fuori controllo, fuori contesto, troppo violento per poter una convivenza pacifica con l’uomo.
Tutta questa solitudine genera rabbia e frustrazione nell’animale e Chen Zhen si rende conto del grave danno commesso, ma non solo, egli capisce improvvisamente di essere anche lui come il lupo in cattività: troppo uomo di città per essere accettato nella comunità di pastori e troppo segnato da una sorta di vita primordiale per poter tornare ad essere un uomo di città incurante di una realtà ancestrale ignorata.
L’ultimo lupo è un film tutto sommato semplice, lineare nel suo procedere, dal tono poetico, capace di filtrare consapevolmente il versante filosofico ed epico del libro. Il film di Jean-Jacques Annaud possiede una carica visiva capace di sconcertare il pubblico grazie a immagini molto forti, cariche di violenza, in grado di lasciare un segno indelebile nella mente e nel cuore dello spettatore.