LO SPACCIATORE DI CARNE – Giuliano Sangiorgi
Una storia semplice, un ragazzo come tanti, uno studente pugliese che ha scelto l’Università di Bologna come finestra sul mondo. Uno studente che sogna di scappare dal suo paesino, dalla sua famiglia, da suo padre e dal suo truculento lavoro.
Edoardo racconta la sua storia: figlio di macellaio, incapace di superare il trauma di aver visto suo padre uccidere un animale. Quando però da studente fuoricorso, incontra su un treno una ragazza, Stella, la sua Stella, Edoardo dimentica tutto, si innamora e, aiutato dal fato, decide di vivere la sua storia d’amore. Niente studio, tanto sesso, un po’ di roba che gira … nessuna novità. Quando resta senza soldi decide di ricorrere alla tanto disprezzata carne del padre, vendendola così come altri studenti vendono i prodotti della terra d’origine per denaro; prodotti orgogliosamente dati dai genitori perché al figlio futuro avvocato non deve mancare nulla. Neanche questa è una novità.
Quando Stella tradisce Edoardo, tuttavia, questo impazzisce e non sa più che farsene della carne in frigo e decide di “tramutarla” in banconote. Il prezzo determinato dal peso. Se questo metodo funziona tra i tossici, le prostitute e gli spacciatori affamati, non funziona nei lussuosi negozi del centro. Invisibile mentre i limoni gli passano accanto. Limoni, è così che Edo identifica gli uomini che attraversano la città, tutti uguali, come i limoni.
Giuliano Sangiorgi, lo sappiamo, è il leader dei Negramaro. Posso averne apprezzato canzoni e voce ma non riesco a dare un senso alla scelta di scrivere questo libro. Non riesco a capirne gli sbalzi di stile, di linguaggio o di sentimenti. Giustifica sino ad un certo punto lo stato allucinato del protagonista che ama e odia la sua ragazza, di sicuro non ammira il padre e, nauseato dal sangue che qui sgorga a fiotti, avrebbe fatto meglio a divenire vegetariano piuttosto che portarsi quella dannata carne in giro per la città.
Per un certo periodo frotte di neodiplomati sono partiti dal salento verso Bologna. Forse era trendy, in famiglia il primo che partiva si portava dietro tutta la stirpe assetata di avventure e di conoscenza verso la città Universitaria per eccellenza. I genitori premurosi, orgogliosi, se vogliamo servili nei confronti di un figlio che porterà lustro alla famiglia, pronti a bersi qualsiasi balla, li riempiono di cibarie, raccomandazioni e lacrime. Sangiorgi conosce bene l’argomento e ne descrive per filo e per segno tutte le consuetudini che tradizionalmente si ripetono ogni anno, descrivendole con tono disincantato, leggermente sprezzante. La prima de Lo spacciatore di carne possiede i medesimi riverberi di una fotografia ingiallita e, sebbene sia Edo a raccontarci i suoi ricordi, non sono sicura che Sangiorgi avesse voluto dargli proprio questa sfumatura. La seconda parte descrive la classica vita da studente nullafacente e, vedendo le pagine scorrere, rimane il dubbio sul messaggio finale. Quando, finalmente, riesco a dare un senso al titolo del libro, il protagonista è ormai diventato odioso, inetto, debole.
“Volevo scrivere una storia e l’ho fatto” dice. Una storia risicata, un protagonista antipatico e un finale alquanto discutibile così come lo stile di scrittura. Si percepisce come Sangiorgi abbia sfogliato le pagine dei maggiori scrittori italiani del momento, infatti, echi di tali letture rimbalzano di pagina a pagina. Sono presenti frasi che più che volutamente ricercate direi forzate, alternate a periodi scontati di una pochezza stucchevole, in altri passaggi leggiamo righe che vogliono essere d’effetto ma suonano come artificiose. Il libro è breve e si legge in un soffio, il ritmo non languisce mai ma il Sangiorgi cantante differisce dallo scrittore e non riesco a togliermi dalla mente l’idea che uno dei due Sangiorgi abbia deciso di prendere in giro i suoi fan. Fortunatamente per loro (e anche per lui) è lo scrittore a perdere.