LESSON OF THE EVIL – Takashi Miike
Takashi Miike arriva al settimo festival del cinema di Roma rientrando negli ambienti scolastici, punto di partenza non più delle bande di Crows Zero, ma di un piano preciso … quello del giovane professore di liceo, da poco arrivato, che non fa fatica a farsi ben volere da colleghi e studenti.
Fra lezioni d’inglese, fenomeni di bullismo ed esami truccati, tutto si risolve nelle note del Moritat di Kurt Weill (che non a caso parla di omicidio); mentre lo sfocato schema mentale del professor Hasumi si fa sempre più chiaro agli occhi dello spettatore, fino al punto di non ritorno. Osservato dai due corvi di Odino, come moniti usciti dal suo passato, il giovane insegnante si trasforma fino a mostrare la sua vera natura. Un gioco perverso e letale che porta gli studenti a cercare una via di fuga, mentre lui la soluzione ce l’ha già, composta da un alibi e un fucile.
Il regista di 13 Assassini e Yattaman, lascia il giappone feudale e la commedia fantascientifica, tornando a quel genere che lo ha innalzato nei festival di tutto il mondo. La quiete della prima parte del film viene scavalcata dal crescendo del Moritat che dà il ritmo ad un’esplosione di violenza e sangue tipica del suo stile. Non mancano i tratti ironici in un misto di derisione e paura verso i poveri studenti, che spingono lo spettatore verso una nota di simpatia sull’omicida.
Certo, il film non sfiora i livelli di Audition o Ichi the killer, la sua violenza è dilagante e non più concentrata, ma questo ritorno di Miike ci fa ben sperare in opere successive capaci di amplificare la violenza come fosse una cassa di risonanza.