LA STRADA – Cormac McCarthy
Un padre e un figlio camminano per le strade deserte, tra la fame e il freddo, alla ricerca costante di rifugio. Ogni cosa intorno, animale o vegetale, è morta. Sembra rimasto solo qualche sparuto guizzo di umanità, che rappresenta più un pericolo che altro …
Romanzo dall’intelaiatura semplice ed essenziale, punta tutto sulla sensazione di vuoto e morte capace di trasmettere nel lettore. Narrando i postumi di una specie di apocalisse, mai spiegata, come se non avesse importanza, Cormac McCarthy si limita a narrare la fine dell’umanità, come un lento e progressivo spegnimento, come una candela che sussulta (tra paura e angoscia), un attimo prima di fondersi con il buio. E quel bruciare mette a nudo la verità del mondo: brutale malvagità, paura e orrore sono gli unici elementi che sopravvivono.
Simile per alcuni aspetti al mondo non-morto di George Romero e di Richard Matheson, l’ambientazione che si presenta in La Strada è molto più essenziale e devastata, eliminando anche molte possibilità di dipanare la trama in modo particolarmente elaborato. Ci sono pochi colpi di scena, infatti, nel racconto di McCarthy, ma nella loro atroce semplicità, riportano l’essenza brutale che aveva espresso William Goldwin ne Il Signore delle Mosche: l’uomo è lupo per l’uomo, ed è tutto qui.
Se, però, letterature di genere post-apocalittico riuscivano ad offrire almeno sparuti spiragli di speranza, La Strada li chiude quasi tutti, con violenza, in faccia al lettore; l’unico aspetto davvero umano è il legame padre-figlio che permette ai due anonimi protagonisti di spingersi ogni giorno un po’ più a sud, di evitare gli altri gruppi, di cercare quel poco cibo rimasto e di sopravvivere quanto basta per vedere l’alba successiva. L’amore paterno è l’unica linfa di questo mondo che non morirà mai … fino all’ultimo.