LA PIANISTA – Michael Haneke
Erika, pianista e insegnante al conservatorio di Vienna, è una donna estremamente ferma e rude nei modi, totalmente obnubilata dallo spettro del sesso (masochistico) che la attanaglia nel suo micromondo. Altra inquilina di questa realtà (e del medesimo appartamento) è la madre ottantenne, personaggio protettivo e castrante, bizzarra vittima e carnefice della figlia.
La vita e le pulsioni di Erika sembrano trovare sfogo nel giovane e talentuoso pianista Walter, studente di ingegneria attirato ed eccitato dalla strana insegnante che, al contempo, sembra incapace di mantenere una relazione normale, stilando una serie di regole da seguire per avere ciò che vuole dal ragazzo pur mantenendone il (non veramente desiderato) distacco.
Amore e odio, possessione e desiderio di distacco sono i sentimenti che legano e collegano Erika (una strabiliante Isabelle Huppert) alla madre, una convivenza sotto lo stesso tetto che diviene prigione e alcova familiare, quattro mura imbrattate di un bianco che non copre lo stantio odore di muffa, un rapporto osceno capace di distruggere una vita per troppo amore. Pareti di cemento innalzate anche per proteggersi dal mondo esterno, fatto di esseri umani, specialmente di genere maschile, capaci solo di abusare, sfruttare e gettare via in modo repentino e violento. Sensazioni che Erika vuole provare sulla propria pelle in senso di rivalsa sopita contro l’anziana madre.
Il film di Michael Haneke descrive tre diverse realtà, quella triste e tumefatta di casa, quella morbosamente cupa dei sexy shop, quella altolocata dove si esibisce Erika, che in realtà si incontrano in un vertice comune: quello dello squallore che attanaglia in facciata (i peep-show) o in background (lo svogliato disinteresse dell’alta borghesia) una Vienna (s)composta da anime irrequiete, suddivise tra dominatori/cacciatori (Erika) e prede/schiavi con la sindrome di Spartaco (Walter). Tutti raffigurati attraverso una sorta di specchio capace di distorcere i sentimenti, anabolizzandoli e filtrandoli con spartiti impazziti degni di Schuman.
La pianista, in questo contesto, muta rapidamente da film che sembra voler analizzare le devianze sessuali a ipnotico tassello che analizza il dolore umano tramite l’esternazione di una “devianza”, se così è possibile definirla. Una sorta di discesa distaccata in un mondo dove sembra ascoltare echi di Lars Von Trier, in un anfratto ancora più asfissiante.