LA FONTANA DELLA VERGINE – Ingmar Bergman
Medioevo. In Svizzera, nel calore di una casa di campagna, una famiglia prosegue la vita di tutti i giorni piena di lavoro e devozione. Il padre (padrone) Töre invia la figlia adolescente, Karin, presso la chiesa più vicina per portare dei ceri, come vuole la tradizione, accompagnata dalla serva Ingeri. Durante il viaggio a cavallo le donne si separano per un tratto e Karin finisce tra le mani di tre balordi.
A Karin viene strappata via la vita dopo essere stata violentata, sotto gli occhi impotenti di Ingeri che nel mentre l’ha raggiunta. I tre depredano tutti gli averi della vittima e fuggono, giungendo presso la casa di campagna e ricevendo riparo grazie alla benevolenza di Töre stesso. Dopo il pasto uno dei malfattori tenta di vendere alla madre di Karin un vestito … quello rubato alla figlia.
La fontana della vergine è un film costruito sulla potenza di un gesto, la violenza e l’omicidio di una ragazzina colta nel pieno della sua fanciullezza, che risuona con un’eco assordante attraverso le preghiere e l’adorazione rivolte ad un dio che sembra aver chiuso gli occhi di fronte ad una così profonda tragedia. Suonano come un tuono in una valle le parole di Töre rivolte ad un dio che sembra voler in qualche modo velare questa morte, lasciando sgorgare una fonte d’acqua dove era poggiato il cadavere. L’acqua torna ad essere elemento che richiama la purezza, ma anche elemento che sciacqua via le colpe, come quelle non ancora commesse da Töre prima di castigare i farabutti.
Il film di Ingmar Bergman si staglia su un bianco e nero ricco di ombre, che sembrano guizzare sui visi (gli occhi chiari di Ingeri ricolmi di sentimenti negativi così come di paura per l’imminente nascita di un figlio, il silenzioso pianto di una madre) e sui corpi (la flagellazione di Töre prima della vendetta) di attori, capaci di convogliare l’intera scena su di loro, con l’importante background storico-culturale-religioso che pulsa alle loro spalle. Un passaggio dal paganesimo al cristianesimo ancora ricco di superstizione (basti pensare all’invocazione di Ingeri a Odino), ricolmo di simboli religiosi, dove la vita e la morte sembrano non voler solo pulsare nelle mani di una entità superiore.