LA CENA PER FARLI CONOSCERE – Pupi Avati
Clara lavora come pediatra in Spagna, Ines è una giornalista in ascesa in Francia, Betty affianca l’arrogante marito nell’azienda di famiglia in Italia. Tre donne, tre paesi diversi, un unico fattor comune: Sandro Lanza, il padre.
Un intervento di chirurgia estetica mal riuscito strappa via Sandro dalla soap opera (in cui e) di cui vive da quasi 10 anni, portandolo al tentato suicidio. Le figlie decidono di ritrovarsi sotto lo stesso tetto, in compagnia di un’improbabile amica, per riunire la famiglia in una strampalata cena.
Il tenero ricordo di una collaborazione con Sergio Corbucci, l’anelato e mai raggiunto desiderio di lavorare con Pietro Germi, l’esistenza di un uomo vissuta in funzione di un flash o di un ciak urlato dalla sedia del regista, questo rappresenta Sandro Lanza. La pressione di un corpo che decade con l’avanzare degli anni, diviene talmente elevata da portare l’attore a subissare l’uomo, cercando nella chirurgia la soluzione esteriore ai propri problemi. Diego Abatantuono incarna con sorrisetto beffardo e occhio sfregiato questa macchietta, innamorato delle rivistucole da gossip e dalle starlette d cui si crede talent scout.
La cena per farli conoscere inquadra pochi personaggi in precisi ambienti, lasciando alle battute di Vanessa Incontrada (non troppo espressiva ma complessivamente convincente), Ines Sastre (fredda come il proprio personaggio) e Violante Placido (non sempre nella parte, ma quando si immerge nel personaggio riesce) il contorno all’entrata in scena di Lanza. Una vicenda familiare che odora di costruito a tavolino, incompleta, ma che riesce a lasciarsi seguire pur con tutti i suoi limiti.
Pupi Avati riesce a costruire la solitudine di Lanza, ne cesella la profonda antipatia verso un mondo che adora e da cui vuole farsi adorare, ne esibisce le mancanze verso le proprie figlie la cui distanza sembra essere colmata solo dalla sua (ingombrante) presenza. Tuttavia La cena per farli conoscere si perde, come la maggior parte dell’ultima filmografia del regista emiliano, dietro una ricostruzione corale che non gode di abbastanza respiro per graffiare sino in fondo l’animo, fermandosi al primo strato di pelle. Piacevole ma nulla di più.