LA BIMBA DI SATANA – Mario Bianchi
Uno dei grandi meriti di Mario Bianchi è sempre stato quello di aver dato vita, in completa assenza di qualità cinematografica, a veri e propri cult, ancor oggi ricercatissimi dal pubblico di genere. Probabilmente questa Bimba di Satana rappresenta il suo apice, considerato l’alone di mistero che, per anni, ammantò una fantomatica versione hard uscita integrale in un dvd teutonico, per la gioia di innumerevoli fans.
Eppure, siamo, a tutti gli effetti, di fronte al nulla cinematografico più assoluto. L’unico punto di interesse di questo melò horror sovrannaturale è la sua estrema bruttezza e la rigidità interpretativa dei suoi protagonisti, talmente appariscente da evidenziare un nuovo linguaggio cinematografico che cerca nuove strade espressive nella totale inespressività. L’unica a salvarsi è la splendida e generosa Mariangela Giordano, grande interprete del cinema di genere nostrano che non lesina nel mostrarci le sue splendide forme quando non indossano le vesti di un’improbabile novizia che si prende cura del fratello paralitico del castellano Aguilar (Aldo Sambrell), tossicomane e paranoico, che, dopo la morte della moglie (la porno star Marina Hedman meglio conosciuta per le sue performance zoofile nella serie Marina e la sua bestia), vede in tutti gli ospiti del castello un nemico ed un amante della consorte (si, anche la suora!).
La figlia Myra (Jacqueline Dupré alla sua prima e unica non interpretazione cinematografica) intanto, va su e giù per il maniero a piedi scalzi, col volto espressivo come quello di una ciabatta che, poco prima dei titoli di testa, riesce addirittura a cacciare un urlo. La cosa più divertente del film, però, sono i comprimari come Alfonso Gaita nella parte del cameriere che si rifugia nelle segrete per compiere strani riti in cui ansima come in un orgasmo, accarezza mummie e galline e si rotola per terra come un ossesso. Non da meno il fratello paralitico Ignazio (Giancarlo Del Duca), che spia la suora mentre dorme ignuda e si fa palpare l’inerte uccello durante la toeletta. Non oso pensare cosa gli fanno nella versione hard del film.
Prodotto e scritto da Gabriele Crisanti e condito dalle roboanti musiche di Nico Catanese, il capolavoro scult di Mario Bianchi (qui si firma con pseudonimo americano Alan W. Cools) è un’opera che andrebbe vista nella sua interezza per poterlo pienamente apprezzare, anche perché obiettivamente, tette e cosce, nella versione cut, sono le uniche cose interessanti di questo delirio inutile (ma assolutamente spassoso), traccia demenziale di un genere dimenticato come il porno-horror.