L. A. ZOMBIE – Bruce LaBruce
Uno strano figuro muscoloso (Francois Sagat) si aggira per gli slum di Los Angeles, in cerca di altri uomini con cui avere rapporti sessuali per poi eliminarli. In una voragine di sesso e sangue, l’uomo riesce a riportare in vita gli assassinati proprio attraverso i rapporti sessuali.
Bruce LaBruce non ha mai celato dietro filosofici paradigmi o inebetite carrellate quello che vuole mostrare, visivamente e contenutisticamente. Un mondo definito e (in)definibile come “(New) Queer”, semplicisticamente ascrivibile ad un gay horror mai patinato ma anzi sporco al punto giusto, come lo è anche il sesso. Un cumulo di scene dove virgulti, prima sporchi del lerciume della loro dimora poi di sangue, si scontrano e trovano, dove l’omosessualità diviene non più solo veicolo di aids ma parossisticamente rimedio per tornare in vita.
L. A. Zombie diviene così un estremo lascito sia a livello prettamente hard che come devianza di queer cinema, dove le riprese in prima persona di Francois Sagat divengono empatizzanti assoli che inquadrano un uomo (alieno) fondamentalmente solo (alienato), destinato a dimorare negli ghetti urbani di una metropoli (alienante) che ne desidera anche la carne.